“L’accesso ai test genetici è un tema emergente” in oncologia. “Quest’anno al meeting annuale dell’Asco (American Society of Clinical Oncology) a Chicago è stato portato in plenaria uno studio sul tumore della mammella che dimostra come un’analisi genetica abbastanza semplice e molto diffusa negli Usa permette secondo gli americani al 50% delle pazienti di evitare la chemio. In Italia è in corso un dibattito a livello nazionale proprio su questo tra le società scientifiche e il ministero della Salute. E una spinta da parte delle associazioni” di pazienti oncologici “sarebbe, credo, molto importante”.
A tracciare un quadro è Sandro Barni, primario emerito dell’Unità operativa di Oncologia medica dell’Asst Bergamo Ovest, ospedale di Treviglio, e consigliere nazionale del Cipomo (Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri).
Oggi a Milano, in occasione della ricostituzione dell’Intergruppo consiliare lombardo per la tutela dei diritti dei pazienti affetti da patologie oncologiche e onco-ematologiche, l’esperto fa il punto su alcuni degli aspetti principali su cui si dovrà lavorare. Fra questi c’è appunto l’utilizzo dei test genetici, come quello che valuta l’espressione di 21 geni tumorali finito sotto i riflettori a Chicago e altre analisi simili.
“Credo sia un problema che ci dobbiamo porre. Lo stiamo portando all’attenzione del ministero, c’è un tavolo aperto a livello nazionale in cui si sta discutendo dell’opportunità di adottare questo test. Non possono farlo tutti perché costa 3 mila dollari e sarebbe insostenibile, ma si sta cercando di mettere dei paletti per capire chi ne ha bisogno, sulla scia delle indicazioni che arrivano dallo studio Usa. Abbiamo dati anche in Italia, io ho presentato per esempio 1.700 casi”.
“E’ possibile – prosegue Barni – identificare una fascia di pazienti in cui sarebbe utile, ed è importante fare questa analisi alle persone giuste. Nei prossimi mesi si dovrà stabilire proprio questo. Riteniamo comunque necessario introdurre lo strumento”. Altra sfida da affrontare è quella di dare la giusta attenzione a una categoria che fortunatamente è in crescita: i survivor. “Tempo fa dissi che è nata una nuova malattia, quella dei lungosopravviventi – sottolinea – di cui ci siamo disinteressati”.
“Provate – incalza Barni – a far fare un’assicurazione sulla vita a una persona guarita da un tumore, provate a fargli adottare un bambino. Ci sono tanti problemi che li rendono cittadini di serie B. E’ una priorità che interessa grossi numeri. Il nostro compito di medici è ascoltare ed evidenziare le problematiche espresse e inespresse. La voce dei pazienti non deve mancare. E’ importante il ruolo che possono giocare le associazioni come interlocutori per le forze politiche. Ci sono molti argomenti che stanno emergendo e fanno fatica a essere affrontati”.
Lo evidenzia anche Paolo Corradini, direttore della Divisione ematologia e trapianto midollo osseo dell’Istituto nazionale tumori di Milano e presidente della Società italiana di ematologia.
“Anche in ematologia, come in molte aree terapeutiche, è cresciuta l’attenzione alle esigenze dei pazienti grazie all’impegno di associazioni come Ail“.
Cosa vogliono le persone che affrontano un tumore? “Sentirsi bene, mantenere la propria qualità di vita e non vederla stravolta, non avere grandi limitazioni alla propria libertà, riuscire a mantenere un buon rapporto con i medici e gli infermieri, poter essere seguiti da un caregiver in famiglia”, elenca lo specialista.
“Tutti prima o poi saremo pazienti – ammonisce – è fittizia la distinzione tra chi lo è o no. Occuparsi di salute, e investire nella ricerca che punta a migliorarla, significa occuparsi di uno dei pilastri fondamentali della civiltà. In Italia il sistema sanitario universalistico funziona molto bene ed è importante non smantellarlo. Dalla diagnostica molecolare avanzata può arrivare un contributo importante per l’appropriatezza delle cure, che permetterebbe di risparmiare risorse che andrebbero magari sprecate sui farmaci costosi. Serve un investimento, anche culturale, nella diagnostica. Sarebbe intelligente e renderebbe sostenibile un sistema. Ma ancora tutto questo non c’è. Dobbiamo investire le istituzioni di responsabilità su questo fronte e in generale sui bisogni dei pazienti che spesso sono pratici e non riguardano i massimi sistemi”. Un esempio concreto? “In quasi 100 anni non si è riusciti a fare un parcheggio davanti all’Istituto tumori, eppure basterebbe a evitare che per un anziano il percorso fino all’ambulatorio diventi un’impresa”.