Giampiero Petrucci, geologo ed esperto di monitoraggio, ex Supervisore del monitoraggio del Ponte sul Po a Piacenza relativo alla linea ferroviaria di Alta Velocità, ci aiuta a capire scopi e finalità di un corretto monitoraggio strutturale.
La tragedia di Genova ha portato alla ribalta un fenomeno ben noto nell’ambito degli addetti ai lavori. La pessima situazione di numerosi ponti e viadotti italiani dal punto di vista della manutenzione, della conservazione e in definitiva della sicurezza dei viaggiatori. In tutta Italia esistono ponti e viadotti che mostrano segni evidenti di cattiva manutenzione, con il forte degrado del calcestruzzo e spesso, addirittura, con ampie porzioni dei ferri di armatura a vista. Questi esempi, comprensibili da chiunque, testimoniano come si dovesse intervenire prima. Ma quali sono i mezzi tecnici e scientifici a disposizione per salvaguardare le infrastrutture?
Il primo problema nasce dalla vetustà delle strutture. Il nostro paese è attraversato in lungo e largo da vie di comunicazione realizzate 50-60 anni fa; la mancanza di adeguata manutenzione ha portato i manufatti a perdere una parte, spesso piccola ma comunque già indicativa, della loro portanza. Alcuni ponti e viadotti oggi hanno l’aspetto di giganti malati, di colossi dai piedi di argilla. Il cemento armato non è eterno, soprattutto se non adeguatamente “curato” e accudito. Viene costantemente aggredito dall’anidride carbonica e dagli agenti atmosferici, con particolare effetto dei sali marini lungo le coste e di neve e gelo in montagna (foto 1). Il traffico, aumentato in maniera esponenziale negli ultimi decenni, col fenomeno del notevole incremento di carichi indotti e vibrazioni, fa il resto. Smottamenti, frane, alluvioni, terremoti, catastrofi naturali di cui il nostro territorio soffre costantemente, rappresentano un’ulteriore complicazione in un quadro già di per sé difficile e preoccupante. Tutti aspetti ben noti agli scienziati ed ai tecnici, ma le cui soluzioni sono state applicate ben raramente. Le nostre infrastrutture non sono state adeguate al progresso, all’aumento del traffico e della mobilità, allo scorrere del tempo: questa è la madre di tutte le disgrazie, l’incapacità di migliorarle e adeguarle ad una realtà ben diversa da quella in cui furono realizzate.
Le strutture come il Ponte Morandi di Genova erano, forse, all’avanguardia 50 anni fa. Ora non lo sono più. Ricordiamo soltanto che l’Autostrada del Sole, ancora oggi la nostra via di comunicazione più trafficata, fu inaugurata nel 1958, dunque esattamente 60 anni fa. Allora cosa fare per rendere più sicuro il cammino dei viaggiatori? Molti si sono riempiti la bocca con la parola monitoraggio, probabilmente senza nemmeno sapere come funziona. Cerchiamo allora di spiegarne le finalità e le metodologie.
Negli ultimi vent’anni, per fortuna, non è esistita infrastruttura importante del nostro paese che, in corso d’opera, non sia stata adeguatamente sottoposta a monitoraggio. Il Ponte sul Po a Piacenza della Linea Altà Velocità ferroviaria, ad esempio, realizzato ormai 15 anni fa, aveva (e ha ancora) al suo interno un migliaio di strumenti atti a valutarne lo stato di salute, in qualsiasi momento. Questo perchè da un lato, in fase costruttiva, fosse così possibile verificare le ipotesi di progetto, e dall’altro una volta posta in esercizio l’opera, fosse possibile garantirne la sicurezza con un controllo costante e continuo. Tra gli strumenti adottati le cosiddette barrette estensimetriche, (foto 2) montate direttamente sui ferri di armatura, atte a valutare lo stato tensionale del ferro stesso ovvero qualsiasi minimo movimento di estensione o compressione, per verificare in modo puntuale la stabilità dell’opera. Anche gli ormai famosi stralli, parola diventata di moda, sono stati adeguatamente monitorati, con strumenti in grado di valutarne puntualmente lo stato di tensione (celle di carico e di torsione) montati alla loro base. Tutto questo però è stato eseguito in corso d’opera, cioè durante la costruzione e, è bene ribadirlo, tutti questi strumenti rimangono in esercizio anche adesso, a distanza di anni, potendo dunque fornire risposte immediate sullo stato di salute del ponte. Ovviamente è impossibile introdurre un siffatto monitoraggio all’interno di una struttura già realizzata.
Ed allora cosa fare? Innanzi tutto sensibilizzare tutti, non solo l’opinione pubblica ma anche gli stessi addetti ai lavori, in relazione all’importanza fondamentale del monitoraggio. Io stesso, per esperienza decennale in questo settore, ho potuto constatare direttamente sul campo come spesso il monitoraggio venisse considerato una serie di operazioni, se non inutili, che comunque facessero perdere tempo e soldi alle imprese. Più di un Direttore dei Lavori, o di cantiere, ha espresso le sue perplessità al riguardo. Impossibile poi ritardare o, addirittura, fermare i lavori perchè uno strumento aveva segnalato un’anomalia. La tragedia di Genova dovrebbe avere avuto un ruolo catalizzatore in questo senso. Il monitoraggio serve, eccome!
Quindi, in secondo luogo, operare su due livelli di attenzione. Innanzi tutto sul calcestruzzo. Inutile elencare le prove atte a valutare il suo stato di conservazione. Si parte da una semplice verifica visiva o da altrettanto semplici test eseguiti con un martello (e la valutazione della conseguente risposta sonica) per arrivare alle più sofisticate indagini di laboratorio (geotecniche e chimiche) sulle “carote” (spezzoni cilindrici di calcestruzzo) prelevate direttamente dall’interno delle strutture. In questo modo si può comprendere quanto il cemento sia deteriorato e dunque prendere gli opportuni provvedimenti. Si tratta però di operazioni discontinue, certamente puntuali ed utilissime, codificate dal punto di vista scientifico, ma talora non immediate e che necessitano spesso di attrezzature particolari e costose.
Ed ecco che altrettanto utile, e più immediato, si rivela allora il secondo livello di attenzione. Monitorare direttamente la struttura, se non all’interno, all’esterno. Applicare cioè sulla sua superficie, in punti specifici e scelti ad hoc, strumenti in grado di valutarne, in ogni momento e senza interruzione, la sua stabilità e dunque i possibili cedimenti. Strumenti dal funzionamento spesso semplice, poco costosi, e che, se ben collocati, possono fornire risposte esaurienti per la sicurezza generale. Ad esempio i clinometri (foto 3) che funzionano sul principio alla base della semplice “livella a bolla” utilizzata da sempre dai muratori. Ovviamente, ad un livello più sofisticato. In pratica indicano l’inclinazione della struttura e, dunque, la sua eventuale rotazione: dalle prime indicazioni pare che pure il Ponte Morandi, al momento del crollo, abbia ruotato in una determinata direzione. Associati ai clinometri possono essere utili i cosiddetti fessurimetri, o sensori di deformazione, (foto 4 e 5) atti alla valutazione dell’allargamento (o restringimento) di eventuali fessure presenti nella struttura. Il vibrometro è invece uno strumento che, come indicato dal suo stesso nome, misura le vibrazioni: risulta particolarmente utile in situazioni di traffico pesante e continuo, per valutare le sollecitazioni cui è sottoposta la struttura.
Spesso si è soliti monitorare i manufatti, non solo ponti e viadotti ma anche gli edifici, dal punto di vista topografico. Sulla struttura vengono applicati semplici target, di piccole dimensioni, (foto 6) cui fa riferimento una stazione totale di misura automatizzata in grado di valutarne la posizione nello spazio e dunque gli spostamenti nelle varie direzioni, con particolare riferimento ai cedimenti verticali. Questo sistema risulta particolarmente utile ed utilizzato in galleria, per la valutazione delle convergenze ovvero dei restringimenti cui il tunnel è sottoposto in fase di scavo, ma non solo (ad esempio per movimenti franosi e/o infiltrazioni di acqua). Il terreno di fondazione può invece essere monitorato attraverso gli inclinometri ovvero semplici tubi posizionati in uno scavo nel terreno (o talora perfino nel cemento come accade nei muri di sostegno delle strade) in cui viene inserita un’apposita sonda tramite cui, con misurazioni successive, è possibile capire l’esistenza o meno di spostamenti (foto 7). In caso della presenza di falda acquifera prossima alla superficie, possono rivelarsi utili i piezometri atti alla valutazione dello spostamento dei livelli di acqua nel terreno.
Importante segnalare che si tratta in genere di strumenti di ultima generazione, spesso wireless, che misurano H24 in modo continuativo: i dati vengono trasmessi ad un data-logger, possono essere acquisiti costantemente anche online e dunque il monitoraggio risulta sempre attivo, secondo dopo secondo. L’allarme (ogni strumento può essere tarato su opportune soglie di allerta) risulta dunque immediato e la sicurezza garantita. Il costo dipende ovviamente dalla quantità e tipologia degli strumenti installati, nonchè dalla durata e frequenza di lettura, ma parliamo comunque in termini di decine di migliaia di euro per ogni struttura. In Italia, fortunatamente, siamo all’avanguardia nella realizzazione di questi strumenti e, ad esempio, la “Sisgeo” rappresenta indubbiamente un’eccellenza nel settore.
Ciò che però poi diventa fondamentale, una volta posizionati gli strumenti, è la frequenza di lettura. Alcune dichiarazioni hanno lasciato intendere che a Genova le ispezioni venissero eseguite mensilmente, se non addirittura in modo trimestrale. Ciò pare, se fosse vero, poco opportuno. In situazioni di emergenza (e se non lo era quella del Ponte Morandi…) la frequenza deve assolutamente essere implementata. Negli scavi in sotterraneo, soprattutto in area urbana, si arriva anche a letture quotidiane, se non addirittura (come accaduto più volte anche per gli scavi della Metropolitana di Roma) a due letture al giorno. Certo, tutto questo significa rallentare i lavori in corso e soprattutto aumentare i costi. Ma la sicurezza non ha prezzo. Così come la vita umana.
Gli strumenti dunque non mancano e neppure le capacità tecniche. Il Governo sbandiera ai quattro venti l’avvio di una grande campagna di monitoraggio delle infrastrutture. Come sempre in Italia ci svegliamo troppo tardi, quando il peggio è passato. Possiamo solo sperare che dalla tragedia di Genova nasca qualcosa di positivo e forse stavolta, in relazione al monitoraggio, può veramente accadere. Adesso o mai più.