Tre lettere che cambiano la vita: Sma, atrofia muscolare spinale. I genitori ricordano il momento in cui il medico le ha pronunciate come un attimo eterno. “Sono svenuta”. “Ero come paralizzato”. Ko, un colpo al cuore. Poi come pugili suonati si arriva alla fase due: quella delle difficoltà, soprattutto pratiche e logistiche, dove andare e cosa fare. Quello che significa avere a che fare con “un giudice che ti condanna ogni giorno di più”, con un “orologio a cui cerchi di rallentare le lancette” perché “quanto tempo abbiamo non lo possiamo sapere”, lo ha raccontato un gruppo di 8 famiglie di diverse regioni d’Italia, con figli di età tra 1 e 6 anni, colpiti da Sma 1. Sono i protagonisti di un’indagine Gfk condotta a inizio 2018, citata oggi a Milano in occasione della presentazione del Libro bianco ‘Sma.
Il racconto di una rivoluzione’, realizzato da Biogen.
I loro ‘diari’ raccontano di assenze e addii al lavoro, dell’infermiera “presa privatamente”, della casa invasa dai macchinari, di burocrazia macchinosa e dell’iscrizione all’asilo che diventa una sfida (“Non ho mollato e visto che dicevano di non poter fornire supporto infermieristico, vado io tutte le mattine”). Tradotto in numeri, l’impatto della malattia sulle spalle della famiglia pesa per circa 12,4 milioni di euro l’anno, considerando i costi per apportare modifiche all’abitazione e all’auto e i costi sostenuti per i servizi sanitari non rimborsati dal Ssn. A questi vanno aggiunti i costi indiretti, pari ad altri 9,8 milioni di euro circa.
Cifre che emergono da uno studio condotto dall’università di Roma Tor Vergata in collaborazione con l’Associazione Famiglie Sma, coinvolgendo 127 famiglie italiane colpite dalla malattia, tra dicembre 2017 e aprile 2018.
“Il costo medio annuo di un paziente con Sma è di circa 28 mila euro, includendo anche le modifiche strutturali ad auto e abitazione”, spiega Francesco Saverio Mennini, Economic Evaluation and Hta del Ceis (Centre for Economic and International Studies), Facoltà di Economia di Roma Tor Vergata, autore con i colleghi della ricerca. Applicando questo dato al numero stimato di casi in Italia si arriva a un “costo medio annuo complessivo di circa 23,5 milioni di euro, di cui circa il 52% associabili ai costi a carico diretto delle famiglie, il 41% ai soli costi indiretti (quindi anche quelli del sistema previdenziale e sociale) e il 7% ai costi diretti a carico del Ssn”.
Accanto all’assenteismo e al presenteismo sul posto di lavoro, continua Mennini, “c’è anche il fenomeno della disoccupazione da considerare. Circa il 17-18% degli intervistati sono persone che hanno perso il posto di lavoro o per la loro malattia (e sono persone giovani che si porteranno dietro prestazioni anche previdenziali per tutta la vita) o per la malattia dei loro figli. E questo si ripercuote in maniera drammatica su tutto il contesto sociale di queste famiglie”.
I ‘diari di bordo’ della comunità Sma parlano anche di nuovi orizzonti: “Con la diagnosi che ti lascia senza parole arriva anche la notizia della possibilità di intraprendere un supporto farmacologico”. E ancora: “Si parla di terapia e non solo di accompagnamento”. E per Mennini proprio su questo fronte è necessario un cambio di paradigma importante: “I costi indiretti della malattia vengono troppo spesso trascurati anche a livello governativo. Qui si evidenzia, però, in maniera inequivocabile che è necessario un cambio di visione: quando si va a effettuare una valutazione economica sui nuovi trattamenti per questi pazienti, bisognerà giocoforza tenere conto dell’impatto che avranno nel ridurre questa categoria di costi, non focalizzandosi solo sui costi diretti sanitari”.
“La Sma è una malattia molto complessa e quando c’è una diagnosi deve esserci necessariamente una presa in carico totale della famiglia e del caregiver. I bisogni vanno dalla riabilitazione agli ausili specifici, che vanno da un busto a una carrozzina con una postura particolarmente idonea. La prima necessità di questi ragazzi è inoltre che non venga preclusa loro la libertà e l’indipendenza”, racconta Maria Letizia Solinas, presidente dell’Associazione per lo studio delle atrofie muscolari spinali infantili (Asamsi) e “mamma di Tommaso, 20 anni, iscritto a Ingegneria con profitto, il centro della nostra vita”.
Anche nella sua famiglia c’è chi ha rinunciato al lavoro (il marito) e Solinas da tempo si batte proprio per ottenere il sostegno a un disegno di legge che dia un riconoscimento giuridico e una tutela vera dei caregiver.
Chi come lei vive la Sma da tanti anni sa che “i nuovi scenari che si stanno aprendo con i nuovi trattamenti erano impensabili fino a poco tempo fa. Ma questo – ammonisce – comporta una presa in carico ancora più attenta dei pazienti, perché nel lungo periodo cambiano di molto le esigenze. E occorrerà sensibilizzare molto le istituzioni per i temi per esempio di vita indipendente, di sostegno alla scuola e di inserimento nel mondo del lavoro”.