Qual è lo stato di salute delle aree protette italiane? Il WWF Italia presenta il “Check-up”

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Qual è lo stato di salute delle aree protette italiane? Il WWF Italia attraverso il Check-up dei parchi Nazionali e delle Aree Marine Protette che rappresentano una base fondamentale del nostro Capitale naturale, ha scattato un’istantanea dalla quale emergono luci e ombre. L’indagine, alla quale hanno partecipato tutti i 23 Parchi Nazionali attualmente operativi e 26 aree marine protette sulle 29 istituite è stata condotta con il metodo della Valutazione e Prioritizzazione Rapida della Gestione delle Aree Protette (RAPPAM), che offre ai gestori e ai decisori politici uno strumento per raggiungere l’obiettivo di una gestione più efficiente ed efficace dei Parchi Nazionali e delle Aree Marine Protette. Dallo studio del WWF emerge che il lungo cammino cominciato con la legge quadro sulle aree protette (la 394/91) è ancora ben lontano dall’essere completato. Le principali criticità che investono il sistema delle aree protette sono principalmente legate agli strumenti di gestione, alla carenza di personale qualificato e alla carenza di risorse disponibili per progetti di conservazione.

PARCHI NAZIONALI. Dai dati raccolti emerge che urbanizzazione, turismo, incendi e cambiamenti climatici sono percepite come le principali pressioni che attualmente insistono sulla biodiversità, a cui si affiancano abusivismo edilizio e smaltimento rifiuti nei Parchi di piccole dimensioni ed inquinamento idrico nei Parchi costieri. Per il futuro, le principali minacce sono invece ritenute essere i cambiamenti climatici, seguiti da specie aliene invasive e captazioni idriche. Per quanto riguarda gli strumenti di gestione va segnalato che solo nel 30% dei casi è stato approvato in via definitiva il Piano per il Parco e che meno del 10%  si è dotato di un Regolamento, sebbene i Parchi abbiano definito in maniera sufficiente specifici obiettivi di conservazione e relative strategie.

Il contesto di legalità in cui i Parchi operano viene considerato buono, sebbene le risorse economiche e di personale per il controllo delle attività illegali siano ritenute largamente insufficienti. A livello di biodiversità, i Parchi hanno realizzato check-list, mappe di distribuzione e attività di monitoraggio di specie ed habitat prioritari (in primis lupo e aquila reale,  faggete dell’Appennino e stagni mediterranei) su cui basare gli interventi di conservazione, sebbene le risorse economiche impiegate in queste attività siano ritenute insufficienti. Infatti, sia le spese per le attività di monitoraggio che quelle per progetti di conservazione risultano entrambe inferiori al 10% del proprio budget (per la quasi totalità dei Parchi (in 9 parchi addirittura inferiori al 5%).

Nonostante gli strumenti e le competenze del personale siano ritenute adeguate, le condizioni di impiego e l’aggiornamento sono ritenuti inadeguati. Spesso mancano figure chiave come naturalista o biologo (22%), agronomo o forestale (22%) e ancor più veterinario e geologo (83%), con percentuali della pianta organica dedicate primariamente alla conservazione delle biodiversità spesso inferiori al 10%.

Inoltre 15 Parchi Nazionali su 23 attualmente operativi attendono entro la fine di quest’anno la designazione dei Presidenti (11, dei quali 10 già scaduti) o dei Direttori (9, dei quali 8 già scaduti).

Indicativa è la questione delle risorse che lo Stato assegna alle proprie aree protette. Ai Parchi Nazionali terrestri, che tutelano 1,5 milioni di ettari del nostro territorio nazionale (il 5% della penisola) negli ultimi anni sono stati assegnati in media 81 milioni di euro (considerando il periodo dal 2013 al 2016, fonte Corte dei Conti), sui quali l’incidenza del costo per il personale è in media superiore al 34% (in media più di 32 milioni di euro). Un semplice calcolo evidenzia che, ogni anno, in media, l’Italia destina 1,35 euro per abitante per i Parchi Nazionali: una spesa equivalente al costo di un cappuccino.

AREE MARINE PROTETTE. Nonostante i suoi 7500 chilometri di coste l’Italia sembra essere aver voltato le spalle al mare. Le 29 Aree marine protette (inclusi 2 parchi sommersi), infatti, incidono solo su 700 chilometri di costa (pari allo 0,8% del totale) e 228 mila ettari di mare. Va peggio per quanto riguarda le risorse se si considera che nel 2017 sono stati destinati per il funzionamento e la gestione solo 7 milioni di euro.

Rifiuti spiaggiati e plastiche in mare, turismo e traffico navale sono percepiti come le pressioni che attualmente affliggono con maggiore intensità la biodiversità delle AMP italiane, in particolare quelle di piccole dimensioni, mentre bracconaggio e pesca illegale costituiscono la pressione più diffusa come numero di AMP interessate, con trend spesso in aumento. Per il futuro, le principali minacce sono invece ritenute essere i cambiamenti climatici, seguiti da rifiuti spiaggiati e plastiche o reti fantasma in mare. Per quanto riguarda strategie e strumenti di gestione, quasi il 70% delle AMP ha un Piano di gestione approvato in via definitiva e quasi l’80% degli enti ha approvato il proprio Regolamento. Buona anche la percentuale di approvazione di piani e misure di conservazione per i Siti Natura 2000 in esse ricadenti, con percentuali più limitate per quanto riguarda le AMP gestite da Enti Parco.

Per quanto riguarda la biodiversità, le AMP riportano un buon punteggio nella realizzazione di check-list, mappe di distribuzione e attività di monitoraggio di specie ed habitat prioritari (in primis cernia bruna, Pinna nobilis e tartaruga Caretta caretta; praterie di posidonia e scogliere) su cui basare gli interventi di conservazione, con valori migliori nelle AMP più grandi. Tuttavia, le risorse economiche impiegate in queste attività sono ritenute del tutto insufficienti, nonostante circa la metà delle AMP investa oltre il 15% del proprio budget in monitoraggi e altrettanto in progetti di conservazione. I risultati però evidenziano un mancato raggiungimento degli obiettivi di conservazione prefissati dalle AMP. I trend delle specie ed habitat prioritari delle Direttive Europee Habitat e Uccelli e sulle Liste Rosse della IUCN riportati da più del 50% delle AMP risultano uguali o peggiori alla media nazionale, ovvero all’esterno di aree protette. Per quanto riguarda la pesca commerciale e ricreativa, l’effetto della presenza di una riserva, misurato come aumento nel tempo delle specie commerciali all’interno verso l’estero dei confini, è mediamente leggero o insufficiente e, se il livello di pesca non è in linea con gli obiettivi di conservazione, non si prendono provvedimenti per modificare la gestione della pesca.

Sebbene la sorveglianza della legalità nelle AMP non dipenda direttamente dagli enti gestori, si evidenziano giudizi fortemente negativi sulla capacità di far rispettare le leggi e, in particolare, di reprimere la pesca illegale. Il personale e le risorse economiche sono insufficienti al controllo delle attività illegali all’interno dell’AMP e l’organizzazione della sorveglianza è inadeguata a contrastare le attività illegali.

Anche i finanziamenti complessivi vengono considerati largamente insufficienti per garantire le attività di conservazione della biodiversità. Il personale delle AMP impiegato in attività di conservazione della biodiversità è ritenuto del tutto insufficiente, così come le condizioni di impiego e l’aggiornamento scientifico. A questo le AMP cercano di fare fronte grazie alla partecipazione di esperti esterni (in particolare università ed enti di ricerca), comunità locali e portatori di interesse in attività di conservazione, giudicata largamente positiva. I conflitti con le comunità locali sono considerati modesti.

“Quello dei parchi nazionali e delle aree marine protette è un sistema che fino ad oggi ha consentito di proteggere una parte fondamentale del nostro capitale naturale ma che ad oggi non riesce a decollare. È necessario lavorare per affermare una regia generale in grado di coordinare e organizzare al meglio questo sistema che protegge porzioni essenziali del nostro capitale naturale. È ormai evidente che la Legge Quadro sui Parchi necessita di un ‘tagliando’ che superando le luci ed ombre che caratterizzano il sistema delle nostre aree protette che assegni ai Parchi e alle Aree Marine protette una maggiore autonomia dagli interessi locali e politici e dall’altro favorisca le connessioni con tutte le attività green e sostenibili”, ha dichiarato la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi che conclude: “Le aree marine protette non possono continuare ad essere la “serie B” delle aree protette: devono diventare dei parchi marini a tutti gli effetti con pari dignità e considerazione rispetto a quelli terrestri. A questo scopo chiediamo che già dalla prossima finanziaria si avvii una sperimentazione su un vero e proprio parco marino”.

Per il ministro dell’ambiente e della Tutela del territorio e del Mare Sergio Costa, intervenuto all’evento: “La tutela e la conservazione della natura, della fauna e degli habitat nel sistema delle aree protette nazionali sono e saranno centrali nella nostra azione di governo. Per questo intendiamo agire subito, a cominciare dalle nomine, scegliendo i migliori profili a disposizione, attraverso un’ampia selezione di curricula evitando indicazioni di quelle persone che, a volte “un po’ troppo politicizzate”, non interessate ad una vera svolta dei luoghi più importanti per la biodiversità in Italia. In questo chiedo la massima collaborazione alle regioni per le intese. È solo il primo, ma importantissimo passo di trasparenza ed efficienza che vogliamo trasmettere per la governance dei Parchi. Inoltre, vogliamo accelerare con il completamento della Rete Natura 2000, accogliendo anche l’appello del Patto per l’ecologia, nonché andare a colmare le carenze nella dotazione organica in quei parchi dove persistono lacune di personale specializzato”.

PROPOSTE. Analizzando quanto emerge dal Check-Up il WWF ritiene che sia necessario un “tagliando” della Legge quadro sulle aree protette (394/91). Un tagliando che abbia l’obiettivo di rafforzare il ruolo di sistema delle aree protette, di realizzazione della Strategia Nazionale sulla Biodiversità, di garantire una maggiore connessione con le aree contigue, di incrementare l’autorevolezza e le competenze di chi rappresenta o lavora nei parchi. Inoltre, insieme alla semplificazione di alcuni processi gestionali ed amministrativi, per facilitare una corretta possibilità di autofinanziamento è indispensabile un intervento sul sistema delle Riserve Naturali dello Stato che rientrano nel perimetro di aree protette. In particolare il WWF ritiene indispensabile la modifica normativa della Legge quadro sulle aree protette per tutto il comparto delle Aree Marine Protette che sia in termini di governance che in termini di risorse a disposizioni, sia finanziarie che umane, costituiscono loro malgrado un’inaccettabile “serie B” delle aree protette.

Un rafforzamento più credibile della nostra natura protetta non può prescindere da una governance più forte e credibile.

Per il WWF è indispensabile, che un elemento di novità arrivi subito, già dai numerosi presidenti di Parchi Nazionali ancora da nominare. Servono figure di qualità, coerenti con una corretta “visione” dei Parchi, in possesso di capacità e competenze coerenti per garantire il giusto equilibrio tra gli interessi nazionali e locali È necessario garantire che i Direttori nominati sulla base della designazione dei Consigli Direttivi abbiano competenze “reali” sia nel campo della conservazione e gestione dei beni naturali, che in quello amministrativo e gestionale. Inoltre è necessario predisporre una specifica norma che superi l’Albo dei Direttori, per introdurre il principio di nomine tramite concorso pubblico per titoli ed esami. Vanno superate, infine, le logiche di spartizione politiche all’interno dei Consigli direttevi facendo sì che le nomine dei Ministeri dell’Ambiente e delle Politiche agricole rispondano effettivamente alla rappresentanza di questi e non alla rappresentanza territoriale delle forze politiche delle maggioranze di governo.

Il WWF chiede che ci sia un incremento di almeno 40 milioni le risorse nel capitolo di bilancio del Ministero dell’Ambiente per la gestione ordinaria delle aree protette nazionali terrestri e marine, che oggi destina a questo scopo circa 80 milioni di euro, portando quindi la dotazione complessiva a 120 milioni di euro, alla luce anche della creazione, con la Legge di Bilancio 2018, di due nuovi Parchi Nazionali (Portofino e Matese), oltre all’attesa da anni e ci si augura prossima istituzione in Abruzzo del Parco della Costa Teatina e dei tre parchi nazionali previsti in Sicilia: parco delle isole Egadi e del litorale trapanese, delle isole Eolie e dei Monti Iblei. Per quanto riguarda le Aree Marine Protette è di tutta evidenza che è necessario ridisegnare il sistema introducendo una modifica normativa che consenta di avere un bilancio congruo e certo inserito nelle spese obbligatorie dello Stato e che si stanzino fondi addizionali per la creazione delle AMP già individuate come “di prossima istituzione”.

È necessario che il sistema delle aree protette nazionali venga implementato con il completamento di tutti i parchi “sospesi”, ossia quelli che sono rimasti solo sulla carta e con una soluzione definitiva per i parchi dello Stelvio e del Delta del Po che sono diventati dei parchi anomali, affidati a Regioni e Province autonome, e devono tornare ad essere Nazionali a tutti gli effetti. Bisogna, inoltre, risolvere una volta per tutte la vicenda incresciosa del “parco nazionale interrotto” del Gennargentu, istituito ma mai avviato, nonché proseguire nella trasformazione, già avviata a Portofino, di tutte quelle realtà dove la presenza contestuale di aree marine protette e riserve o parchi regionali terrestri costieri, richiederebbe una migliore gestione unitaria sotto-forma di Parco Nazionale (es. Parco Porto Conte-Amp Capo Caccia; Parco del Conero-futura AMP del Conero).

Il WWF chiede anche che i Parchi Nazionali e le Aree Marine Protette siano integrati in una Rete Ecologica Nazionale, che può avere il suo primo nucleo pilota nel Santuario Pelagos, una delle maggiori aree di tutela dei cetacei al mondo e la più grande aree protetta transnazionale (87,500 kmq), che risulta ancora di fatto incapace di dare una protezione adeguata ai mammiferi marini, soprattutto in termini di collisioni con grandi navi, e dove è fondamentale che si crei un network di aree protette marine e terrestri (a cominciare da quelle di Portofino, Cinque Terre, Bergeggi, Secche della Meloria, Isola dell’Asinara e dai parchi de La Maddalena e dell’Arcipelago toscano).

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