Sanità: Anaao, pediatri ospedalieri a rischio di estinzione

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La pediatria ospedaliera italiana è a rischio di estinzione. A lanciare l’allarme è la Commissione pediatrica nazionale dell’Anaao Assomed che esprime “forte preoccupazione per l’evoluzione del settore i cui indicatori di salute rischiano di peggiorare“. Il sindacato ricorda che la pediatria costituisce un unicum sia sotto il punto di vista del percorso formativo che degli sbocchi professionali. La stessa scuola di specializzazione forma professionisti che possono orientarsi verso la carriera ospedaliera o verso quella della medicina convenzionata territoriale. Due mondi diversi, ma per i quali serve – secondo il sindacato – una proposta condivisa e urgente.
Con la figura del pediatra di famiglia, spiega la Commissione in una nota, “il grande numero di medici disponibile negli anni ’80 (fenomeno conosciuto come ‘pletora medica’) ha dato la possibilità, ad un sistema in crescita, di offrire uno sbocco occupazionale a molti giovani medici e una opportunità di crescita qualitativa al Ssn. La pediatria da specialistica di secondo livello cui accedere dopo il filtro del medico di base passò, dunque, a coprire anche funzioni proprie delle cure primarie. In poco più di 30 anni lo scenario è radicalmente mutato“.
Il numero chiuso a medicina, continua la nota, “ha in parte contrastato la ‘pletora’ che, paradossalmente, continua a manifestarsi ancora oggi sotto la forma di quell’imbuto formativo, analizzato negli studi Anaao, che impedisce a molti giovani dottori di specializzarsi e accedere ad un percorso di lavoro. Il precariato e l’emigrazione verso paesi con economie più solide è la naturale conseguenza di questa condizione che induce un circuito negativo di progressiva e infelice decrescita del diritto alla salute in Italia“.
Il saldo negativo degli oltre 2000 pediatri, spiega l’Anaao Assomed, “che mancheranno all’appello nei prossimi 5 anni corrisponde alla chiusura di circa 200 punti nascita, circa 10 per regione, di fatto tutti o quasi, lasciando in piedi pochissimi centri per regione. Già oggi molti reparti, anche di livello metropolitano– si legge – incontrano difficoltà nell’arruolare specialisti con un gradiente che cresce da sud verso nord. Regioni come il Veneto oramai hanno la pressoché totalità delle unità operative complesse di pediatria e neonatologia con organici che non permettono in alcun modo di garantire la qualità e la sicurezza delle cure come previsto dagli standard dell’accordo Stato Regioni del 2010“.
I dati Eurostat 2016 evidenziano per i pediatri italiani “un tasso di 28,34 per 100.000 abitanti. Il dato è del tutto simile a quello medio europeo, la differenza sta nel fatto che solo in Italia siano previsti i pediatri di libera scelta, fatto che riduce notevolmente il numero di specialisti che si dedichino all’attività ospedaliera. I pediatri ospedalieri sono, quindi, in numero molto inferiore alla media europea e risultano essere tra le discipline più colpite dalle carenze di medici specialisti. A tal punto che le strutture ospedaliere sono a rischio di chiusura e di interruzione dell’attività assistenziale con la prossima, massiccia, ondata di pensionamenti“.
In questo scenario, i neo-specialisti sono attratti inevitabilmente dalla convenzione che garantisce: retribuzioni oggettivamente più consistenti; orari di lavoro limitati ai giorni feriali in orario diurno; un rischio professionale neanche comparabile con i colleghi che scelgono l’ospedale che prevede anche l’assistenza in sala parto, in terapia intensiva e in pronto soccorso. Mentre la carenza di specialisti non si riflette negativamente sulla qualità della vita quotidiana del convenzionato, al contrario quella del medico ospedaliero turnista è completamente stravolta ( turni massacranti; ferie conquistate dopo estenuanti trattative; ordini di servizio per tappare i buchi in altre sedi e soggiorni ‘coatti’ in sedi disagiate ; riposo giornaliero di 11 ore disatteso; festivi e week-end scomparsi dall’agenda familiare;- stipendi tra i più bassi d’Europa).
La situazione “è dunque grave e al momento abbandonata a se stessa. Le soluzioni? Qualcuno dovrebbe decidere quale dei due mondi professionali salvaguardare: gli ospedali o i pediatri di famiglia? O entrambi? Ad oggi i dati di efficacia sul sistema sanitario sono contrastanti. Da un lato l’Italia registra la perdurante peculiarità dell’esperienza della pediatria di famiglia mentre i volumi di accesso ai pronto soccorso in età pediatrica, sono, sempre in Italia, da tre a quattro volte sopra la media europea“.
Una buona politica di programmazione “dovrebbe permettere alle regioni di individuare quanti specialisti siano necessari in un settore piuttosto che nell’altro e mettere in campo percorsi formativi mirati.E’ necessario per un pediatra di libera scelta trascorrere ben cinque anni a formarsi anche in assistenza al neonato critico e prematuro quando non se ne occuperà mai? E’ giusto mettere in competizione due percorsi professionali (secondo livello ospedaliero e cure primarie) obbligandoli a concorrere sullo stesso bacino specialistico?“. L’altra grande famiglia di medici convenzionati, la Medicina generale cui si accede dopo un percorso formativo specifico e calibrato per l’attività assistenziale da svolgere, non prevede altri titoli di specializzazione per l’accesso (Medicina interna o altre discipline equipollenti considerate ai massimi livelli in termini di competenza specialistica): il titolo esclusivo resta il corso triennale in medicina generale.
L’ipotesi di prevedere un percorso pediatrico simile a quello formativo in Medicina generale rappresenta una possibilità su cui confrontarsi seriamente per evitare lo smantellamento della pediatria ospedaliera e un ridimensionamento di quella convenzionata che già oggi, nonostante gli indubbi vantaggi sociali e economici, non riesce più a coprire le zone più disagiate e distanti dai maggiori centri abitati, offrendo una copertura a macchia di leopardo che non può soddisfare la categoria e, tantomeno, le attese delle famiglie che pretendono giustamente un servizio equamente distribuito su tutto il territorio nazionale. Sta al Governo e alle Regioni stabilire gli obiettivi e assumere le relative decisioni, il dato certo è che non governare questa crisi farà arretrare l’assistenza pediatrica italiana, con tutti i lusinghieri risultati ottenuti sulla mortalità infantile e neonatale, a livelli da paese arretrato dal punto di vista sanitario. Una task force che metta da parte gli interessi particolari e guardi a quelli di salute e produca una proposta condivisa entro pochi mesi è il primo indispensabile passo da programmare con la massima urgenza”.

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