Il cancro come opportunità di ricerca di senso, di cambiamento profondo e, paradossalmente, come esperienza positiva. E’ la novità che emerge da uno studio pubblicato su ‘Supportive Care in Cancer‘ e realizzato dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano su pazienti sottoposti a terapia o assistiti in riabilitazione oncologica. “Circa il 25-30% delle persone malate di tumore sperimenta sintomi emozionali quali ansia, depressione, demoralizzazione, sentimenti di solitudine, oltre a disturbi sessuali, difficoltà nel tornare al lavoro, emarginazione e stigmatizzazione. Eppure, esiste un lato positivo anche in questo percorso“, sottolineano i curatori dello studio.
“In molti casi, e sempre di più rispetto agli anni precedenti, i malati oncologici riportano anche un’esperienza positiva associata alla malattia, intesa come opportunità di cambiamento verso una maggiore consapevolezza di sé, una ricerca di senso, dei propri bisogni e desideri – spiega Carla Ida Ripamonti, responsabile Ssd Oncologia-Cure di supporto al paziente, Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori di Milano – Tuttavia, questa prospettiva non sempre è indagata dagli operatori, spesso focalizzati sugli aspetti clinici della cura farmacologica. Dedicare tempo alla relazione con il malato diviene fondamentale per approfondire anche le possibilità che quel malato ha di costruire un cambiamento più vicino al proprio benessere nella vita quotidiana. Questo significa, in una visione più ampia e profonda, contattare anche il proprio modo di stare nel mondo e di relazionarsi con gli altri, di percepire e trasformare le proprie emozioni, di realizzare qualcosa di positivo per sé e le persone che ci circondano“.
Lo studio ha analizzato, nello specifico, alcune domande proposte a un gruppo di 154 malati oncologici della struttura Cure di supporto al paziente oncologico dell’Int di Milano, sottoposti a terapia oncologica e/o assistiti in riabilitazione oncologica al Centro per la riabilitazione oncologica Cerion di Firenze.
Lo studio è parte di un progetto più ampio, iniziato nel 2012, volto a indagare gli aspetti relativi alla dignità personale del malato e alla dimensione della speranza durante il percorso di malattia, temi spesso valutati nelle fasi più avanzate della patologia ma che, al contrario, è importante approfondire già dalla fase della diagnosi. Pertanto, sono state selezionate le domande relative solo ai pazienti con malattia localizzata in terapia attiva finalizzate a far emerge gli aspetti di una migliore assistenza non solo clinica, ma soprattutto comunicativa e relazionale.
In generale, i dati rivelano “un vissuto di dualità relativo all’esperienza di malattia che, da una parte, attiva una sofferenza interiore, e dall’altra può essere opportunità di cambiamento profondo, come espresso dai pazienti stessi. Utilizzando le loro parole – evidenziano gli esperti – la malattia oncologica può essere superata perché ti fa vedere chi è vicino a te; cambia la visione della vita, è un tramite per conoscere meglio se stessi e gli altri; fa capire il valore della vita, è importante per ritrovare il proprio centro. È insegnamento, è costruttiva perché ti insegna a essere una persona diversa; è l’inizio di un modo completamente diverso di vedere il senso vero della vita, è coscienza, è motivo di apprezzare la vita e viverla giorno per giorno. È motivo di meditazione sulla vita passata e futura, è strumento di salvezza“.
“La maggior parte dei pazienti ha riportato il tema del cambiamento connesso alla malattia, descritto come opportunità di comprendere, proprio attraverso questa esperienza, ciò che mancava prima della diagnosi e ciò a cui si può aspirare. Emerge il desiderio di raggiungere uno stato di pace, serenità, amore, ricerca della propria felicità, così come di voler essere persone migliori per se stesse e per gli altri (nel proprio ruolo di genitori, coniugi e sul lavoro) – concludono i ricercatori – La comunicazione acquista un valore rinnovato, con l’istinto di dire cose non dette e di esprimere maggiormente l’amore verso gli altri. Non ultimo, il paziente tende a godere di più della quotidianità e a investire il proprio tempo nelle relazioni, vivendo più in profondità il presente. Un tale cambiamento di prospettiva è possibile solo in un percorso che sostenga i malati ad integrare gli aspetti negativi e positivi dell’esperienza di malattia“.