Tumori, il sarcoma fa scuola: entro il 2020 rete nazionale delle neoplasie rare

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Il sarcoma ‘fa scuola’: dall’esperienza maturata nella gestione di questa neoplasia arriva la spinta finale per concretizzare la Rete nazionale tumori rari, integrazione delle Reti oncologiche regionali in collaborazione con le Reti malattie rare. L’anno scorso organizzazioni di pazienti, clinici e aziende hanno redatto la ‘Sarcoma Policy Checklist’, che indicava la via da seguire per combattere la patologia con un gioco di squadra.

Centri di riferimento accreditati, team multidisciplinari, ricerca in network e cooperazione per accelerare il via libera a nuove terapie sono i punti chiave del documento, ripresi dalla Rete nazionale tumori rari. Istituzionalizzata nel settembre 2017 da un’intesa Stato-Regioni, sarà pienamente operativa entro il 2020 focalizzandosi sul sarcoma come modello al quale ispirarsi.

Il punto è stato fatto oggi a Milano al Pirellone, durante un convegno organizzato dall’Associazione Paola per i tumori muscolo-scheletrici Onlus con il sostegno di Eli Lilly. Per il sarcoma, che ogni anno colpisce 3.500 italiani, la Rete prevede una decina di centri di riferimento nazionali. ‘Fari’ guida per tutte le strutture periferiche aderenti al network, che potranno ottenere consulti diagnostici e consigli per la gestione dei trattamenti, garantendo pari diritti ai pazienti di tutta la Penisola: cure ‘doc’, senza più bisogno di viaggi della speranza. Uno schema ‘Hub & Spoke’ che varrà anche per gli altri tumori rari.

In Italia, ricorda Paolo G. Casali, direttore dell’Unità di oncologia medica 2 dell’Istituto nazionale tumori-Int di Milano, “esistono oggi diverse reti professionali dedicate a specifiche neoplasie rare. La Rete nazionale dovrà includerle e renderle ancora più efficienti, almeno decuplicando la quota di pazienti che sarà possibile prendere in carico” e aiutare lungo tutto il percorso a cominciare dalla domanda più importante: “Dove devo andare?”. La Rete, “auspicata da vent’anni”, dovrà essere capace di dare la risposta.

Ma come lavorerà la Rete nazionale tumori rari? “Sono previsti centri ‘Hub’ che potranno erogare tutte le prestazioni, comprese quelle a elevata complessità – chiarisce Alessandro Gronchi, responsabile della Struttura di chirurgia dei sarcomi dell’Int e presidente eletto della Società italiana di chirurgia oncologica – Saranno scelti sulla base del volume di pazienti gestito, pari ad almeno 100 casi l’anno nel caso dei sarcomi, e sulla presenza di numerosi specialisti con un’esperienza specifica sullo specifico tumore raro. Un team multidisciplinare a cui facciano capo almeno un chirurgo, un oncologo, un radiologo, un patologo e un radioterapista”. Ci saranno poi “centri periferici o ‘Spoke'”, che “potranno associarsi alla Rete semplicemente esprimendo l’interesse a farlo”. In questo modo “i pazienti potranno rivolgersi in prima battuta anche a queste strutture” più piccole, “che grazie alla teleconsulenza con gli Hub potranno già garantire diagnosi e gestione della terapia adeguate e all’avanguardia. Solo per le prestazioni a elevata complessità, come la chirurgia o i trattamenti radianti altamente specialistici, saranno indirizzati direttamente agli Hub.

Per il paziente è una vera svolta”, assicura l’esperto: “Nel caso dei sarcomi, per esempio, le probabilità di guarigione potrebbero essere migliorate di almeno il 20%, senza contare quello che si potrà ottenere con terapie innovative oggi in corso di studio”. Tutto questo a fronte di una situazione ancora difficile. “L’Agenda strategica europea sui sarcomi del 2017 ha evidenziato che i pazienti affrontano esperienze molto difficili”, spiega infatti Ornella Gonzato, fondatrice e presidente dell’Associazione Paola.

“Fino al 40% riceve diagnosi inappropriate e fino al 25% terapie non adeguate – riferisce – Perciò è necessario organizzare i servizi di diagnosi e cura assicurando qualità ed equità”, e “il modello sarcoma è innovativo anche perché per una volta si è realmente partiti dall’ascolto dei malati, mettendo realmente al centro i bisogni espressi dalle associazioni”. L’idea è che “la Rete, utilizzando soprattutto la telemedicina, consente di mettere a disposizione le migliori conoscenze specialistiche assicurando la qualità degli standard di trattamento a prescindere dal punto di accesso dei pazienti. Ne consegue un contenimento della migrazione sanitaria e dei relativi costi e carichi di stress”. Con la Rete, insomma, invece dei malati si muovono le competenze.

La convinzione dei promotori è che “la Rete sarà utile anche per accelerare la ricerca clinica e su nuovi farmaci: alimenterà infatti un database clinico sui tumori rari e banche dei tessuti’ per la ricerca traslazionale”. Pure in questo caso i sarcomi hanno fatto da apripista: “Un anno fa l’approvazione di olaratumab in combinazione con doxorubicina come terapia di prima linea per i sarcomi dei tessuti molli in fase avanzata è stata il banco di prova. Grazie alla collaborazione fra oncologi e Agenzia italiana del farmaco, la procedura per l’immissione in commercio del trattamento è stata rapidissima, dimostrando che il lavoro di squadra può accelerare e semplificare” anche gli iter regolatori.

“Un ruolo centrale è stato svolto dalle associazioni dei pazienti anche a livello europeo, nella Joint Action on Cancer Control, e in Italia con la Rete nazionale tumori rari – commenta Francesco De Lorenzo, presidente della Favo-Federazione italiana Associazioni di volontariato in oncologia – Il nostro obiettivo è dire ai pazienti dove possono rivolgersi per trovare l’assistenza migliore per la loro malattia: la nuova Rete nazionale, gestita dalle Regioni e dal ministero per migliorare l’attuale offerta assistenziale oncologica, emato-oncologica, pediatrico-oncologica, darà finalmente queste risposte. L’Intesa raggiunta dalla Conferenza Stato-Regioni non è rimasta in un cassetto ed è passata alla fase attuativa”, conferma: “La Rete si sta completando con la determinazione dei centri periferici” e “potrà presto garantire un accesso più rapido a trattamenti efficaci, diminuendo le disparità di accesso alle terapie, tuttora molto presenti”.

“Regione Lombardia – dichiara l’assessore al Welfare, Giulio Gallera – da anni ha adottato il modello delle reti di patologia, al fine di assicurare la presa in carico del paziente mettendo in relazione professionisti, strutture e servizi nel rispetto della continuità assistenziale e dell’appropriatezza clinica e organizzativa. La nostra Regione ha sostenuto con forza l’istituzionalizzazione della Rete nazionale tumori rari, coordinata dalla Fondazione Irccs Int. Ora che è una realtà istituzionale, è necessario individuare gli Hub e fornire ai professionisti gli strumenti gestionali e organizzativi necessari per dare risposte precise e puntuali sui tumori rari. E anche questa volta Regione Lombardia sarà a disposizione”.

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