Fegato grasso: nessun sintomo finché non degenera, “chi ha il diabete dovrebbe sottoporsi a screening”

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Il cosiddetto “fegato grasso” non dà sintomi evidenti ma può evolvere in fibrosi e portare allo sviluppo di cirrosi epatica: colpisce circa un adulto su 4.
Fino a qualche anno fa il fegato grasso era considerato una condizione benigna e sinonimo di benessere, mentre oggi i medici sanno che può evolvere (nel 2-3% dei casi) verso malattie più importanti come la fibrosi o precedere l’insorgenza del tumore del fegato. I fattori di rischio per il peggioramento della salute del fegato, in assenza di danno da alcol o da virus o da autoimmunità, sono l’iperalimentazione, la vita sedentaria, il diabete, il sovrappeso/obesità e alcuni fattori genetici.
Oggi, medici, associazioni pazienti e istituzioni hanno fatto il punto su come affrontare questo problema in occasione del convegno “Dopo l’HCV, le nuove emergenze per la salute del fegato“, promosso da Gilead Sciences.

In Italia il 45% delle persone sopra i 18 anni pesa troppo: a ciò va ad aggiungersi l’aumento della steatosi epatica (NAFLD), l’accumulo di grasso nel fegato, che colpisce il 25-30% degli adulti e che può progredire provocando l’infiammazione del fegato, la steatoepatite non alcolica (NASH), che interessa il 2-3% della popolazione e che porta allo sviluppo di fibrosi, cirrosi e infine epatocarcinoma.

E’ una condizione asintomatica, almeno finche’ la situazione non e’ molto compromessa. Ecco perche’ chi ha il diabete o presenta obesita’ dovrebbe essere sottoposto a screening“, spiega Salvatore Petta, segretario dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF).
Oggi si usano test che combinano l’indice di massa corporea e valori del sangue, come le transaminasi e le piastrine: per avere la certezza che si tratti di steatoepatite si ricorre però alla biopsia. Sia la steatosi che la steatoepatite possono regredire: perdere il 7% del peso corporeo è sufficiente per innescare la regressione.
Inoltre “ci sono molte molecole in fase di sperimentazione che mirano a modificare i meccanismi di accumulo del grasso, dell’insulino-resistenza, dell’infiammazione e della fibrosi, ma servirà ancora del tempo prima che siano disponibili,” conclude Petta.

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