Sono tra i più longevi al mondo, ma uno dei punti deboli degli italiani è il ferro “basso“, la carenza o sideropenia: un problema sottovalutato che può essere spia di malattie croniche.
In occasione del 119° Congresso della Società Italiana di medicina interna (Simi), in corso a Roma, è stato annunciato l’avvio di uno studio, su 2mila pazienti cronici, per misurare l’impatto della carenza di ferro sulle patologie e sul rischio di riospedalizzazione.
L’anemia da carenza di ferro (sideropenia) rappresenta la più diffusa carenza alimentare: riguarda circa il 25% della popolazione mondiale e causa ogni anno la morte di oltre 800mila persone. Un fattore – secondo gli esperti, ancora troppo spesso sottovalutato e sottodiagnosticato. Sebbene, infatti – rilevano gli internisti – basti un esame del sangue, semplice e poco costoso, l’anemia da carenza di ferro viene indagata solo in un caso su tre, nonostante nel paziente cronico abbia risvolti negativi sulla prognosi.
“Per questo motivo abbiamo deciso di dare inizio a uno studio multicentrico che interesserà oltre 2mila pazienti cronici, e quantificherà l’impatto della sideropenia in alcune delle più diffuse malattie croniche degenerative, che contribuisce ad aumentare riospedalizzazione e mortalità“, sottolinea Antonello Pietrangelo, presidente eletto Simi, coordinatore dello studio e direttore della divisione Medicina interna presso l’azienda ospedaliero-universitaria Policlinico di Modena.
Uno degli obiettivi Simi è “intervenire tempestivamente sulla carenza di ferro per ridurre le complicanze e le ripercussioni negative dell’anemia nei pazienti cronici e prevedere il decorso di numerose patologie“.
“Negli ultimi anni – prosegue Pietrangelo – nel campo della ricerca scientifica sta emergendo sempre di più la necessità di curare questa forma di anemia nel paziente cronico attraverso l’iniezione intravenosa del ferro, piuttosto che confidare in una sua automatica risoluzione come conseguenza del trattamento mirato alla cura dello scompenso cardiaco o della Bpco“. “Abbiamo a disposizione diverse strategie terapeutiche innovative per far fronte a questo problema, ma dobbiamo aumentarne la conoscenza, anche tra i medici: esistono farmaci iniettabili innovativi che consentono di far accrescere i livelli di ferro nel paziente in modo più rapido ed efficiente. Ma c’è bisogno di definire linee guida che uniformino la scelta delle terapie più opportune al livello nazionale, oltre che raccomandazioni trasversali che aiutino a migliorare la gestione della malattia cronica con un approccio multidisciplinare,” conclude Pietrangelo.