Un sottilissimo bersaglio di diamante per catturare il fotone oscuro scovandolo tra 1 milione di collisioni di particelle al secondo. È questo il cuore dell’esperimento PADME (Positron Annihilation into Dark Matter Experiment) che studierà le interazioni prodotte da positroni accelerati all’energia di 550 MeV dall’acceleratore lineare (LINAC), dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, alla ricerca della materia oscura. Inaugurato oggi, giovedì 4 ottobre, con una cerimonia per festeggiare il passaggio dalla fase di test (commissioning) a quella di presa dati, l’esperimento PADME resterà in funzione per alcuni mesi, fino alla conclusione della prima fase di presa dati (Run 1). L’esperimento potrebbe svelare per la prima volta l’esistenza di una “nuova forza” a cui sarebbe associata una particella chiamata fotone oscuro, grazie a un apparato di misura piccolo, ma estremamente preciso, in grado di osservare la produzione del fotone oscuro in collisioni di antielettroni con gli elettroni del bersaglio.
L’esperimento PADME si basa su un’ipotesi avanzata da alcuni modelli teorici che prevedono l’esistenza di una quinta forza in grado di connettere la materia oscura con il nostro mondo e che andrebbe ad aggiungersi alle quattro forze fondamentali che conosciamo ovvero, gravitazionale, elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole. A questa nuova quinta forza, come per le altre quattro, sarebbe associata una particella messaggera, in questo caso un fotone “pesante”, dotato cioè di una piccola massa (al contrario del fotone ordinario che non ne possiede), che i fisici chiamano “fotone oscuro”.
“Il problema della materia oscura è certamente tra i più importanti della fisica moderna, e l’INFN è impegnato a fondo in tutti i grandi esperimenti, spesso con un ruolo di guida” commenta Fernando Ferroni, presidente dell’INFN. “È cruciale però anche verificare modelli teorici meno studiati, grazie a piccoli esperimenti dedicati, come PADME, che sfruttano la grande competenza dell’INFN nella tecnologia degli acceleratori” conclude Ferroni.
“PADME si servirà per la prima volta di collisioni di positroni su un bersaglio fisso con lo scopo di esplorare il contenuto di quella parte nascosta del cosmo che chiamiamo materia oscura” sottolinea Mauro Raggi, spokesperson dell’esperimento e ricercatore INFN. “La possibilità che esistano nuove forze e nuove particelle sconosciute è sicuramente una frontiera molto affascinante e il team di PADME è molto orgoglioso di partecipare a questa impresa” chiude Raggi.
“PADME sfrutta un’infrastruttura di ricerca chiamata Beam Test Facility (BTF) che estrae particelle accelerate nel LINAC (acceleratore lineare) e che è stata impiegata, negli ultimi 15 anni, dalla comunità dei fisici sperimentali per lo sviluppo di nuove tecnologie di rivelatori” aggiunge Paolo Valente, co-spokesperson dell’esperimento. “In futuro, inoltre, sarà possibile usare la BTF anche per applicazioni industriali, per esempio nel campo dello studio dei danni da irraggiamento” conclude Valente.
“PADME è la migliore dimostrazione che anche Laboratori di medie dimensioni, come Frascati, possono avere un programma di fisica fondamentale di alto livello. Oggi la ricerca delle motivazioni della materia oscura è una delle sfide più appassionanti e difficili e richiede una molteplicità di approcci” dichiara Pierluigi Campana, direttore dei Laboratori Nazionali di Frascati.
PADME è una collaborazione internazionale che coinvolge ricercatori dell’istituto MTA Atomki di Debrecen, Ungheria, dove già sono stati svolti esperimenti sul fotone oscuro e dell’Università di Sofia, in Bulgaria che si è occupata dei rivelatori a barre scintillanti. Sono anche membri della collaborazione Cornell University, Iowa University e William and Mary College, degli Stati Uniti.
La sensibilità dell’esperimento potrebbe essere molto migliorata utilizzando un fascio di particelle di più alta energia, per esempio utilizzando i positroni accelerati ed estratti da un sincrotrone. Questa proposta viene studiata in collaborazione con i colleghi della Cornell University, anche grazie a un programma di scambio finanziato dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale.