“Forti criticità di tipo strutturale che vanno necessariamente risolte attraverso complessi ed articolati lavori e con un notevole stanziamento di fondi da parte degli enti preposti, aspetti questi non di competenza della Procura“. E’ quanto evidenziato fino a questo momento dall’inchiesta sul sistema Gran Sasso. I prestigiosi Laboratori Nazionali situati all’interno del massiccio montuoso più alto dell’Appenino centrale, in Abruzzo, nonché una delle più grandi e importanti strutture di ricerca per la fisica nucleare e lo studio della fisica delle particelle, sono finiti nel mirino di un’inchiesta giudiziaria, con il rischio che alcuni importanti esperimenti vengano compromessi. Ma il rischio è alto: inquinamento ambientale e salute pubblica.
Dopo gli avvisi di garanzia e il sequestro delle opere di captazione delle acque situate all’interno dei laboratori, il procuratore capo di Teramo Antonio Guerriero è intervenuto sulla questione per chiarire il senso della lettera inviata dalla Procura alle varie istituzionali nazionali, regionali, provinciali e comunali competenti per segnalare la necessità di interventi definitivi di messa in sicurezza di laboratori e gallerie. “L’acqua non è inquinata, sia chiaro. I cittadini possono stare tranquilli. L’acqua si può bere, io la bevo tutti i giorni – ha dichiarato il procuratore – ma ci sono delle criticità su cui bisogna intervenire. Vent’anni fa il laboratorio fu sequestrato e furono stanziati 80 milioni di euro per effettuare tutta una serie di lavori che in realtà non sono stati fatti”. I laboratori e le gallerie autostradali, dunque, non sarebbero adeguatamente impermeabilizzati, con il rischio di contaminazioni in caso di incidenti. “Sia i laboratori che la galleria sono beni di grande valore che vogliamo tutelare, ma devono poter convivere in sicurezza con quella spugna che e’ il Gran Sasso – ha continuato Guerriero – ad oggi i laboratori non sono adeguatamente impermeabilizzati e su 12 chilometri di galleria ne e’ impermeabilizzato uno solo. Non siamo intervenuti sulla loro attività, perché ci rendiamo conto della loro importanza e perché con il sequestro del rivolo che scorre sotto la galleria abbiamo eliminato il rischio maggiore“.
I laboratori del Gran Sasso sono un fiore all’occhiello della ricerca fisica in Italia. Comprendono tre vasti ambienti scavati nella montagna, nei pressi dell’autostrada che collega Teramo con L’Aquila. Uno strato di roccia spesso 1.400 metri è utile per schermare interferenze di varia natura, rendendo possibili elaborate e avanzate ricerche. Per alcuni esperimenti vengono utilizzate grandi vasche con acqua e altri composti chimici. I laboratori, a quanto pare, applicano tutte le misure necessarie per evitare contaminazioni, ma alcuni gruppi ambientalisti della zona hanno contestato l’attività del centro di ricerca a partire dal lontano 2002, dopo il rilascio nell’ambiente di 50 litri di pseudocumene, un composto usato per la ricerca sui neutrini. Lo pseudocumene è utilizzato nella produzione di coloranti e profumi, e non è classificato come cancerogeno o particolarmente pericoloso. Il composto arrivò nelle acque di un torrente della zona, la magistratura mise sotto sequestro l’ambiente di lavoro dal quale era partito e si rese necessaria la chiusura di diversi esperimenti.
La procura fa soprattutto leva sul fatto che dal 2006 le norme vietano che siano conservate sostanze pericolose entro 200 metri da falde e sorgenti di acqua potabile. l’INFN aveva risposto qualche mese fa a queste accuse spiegando come le regole del 2006 non siano applicabili ai laboratori, considerato che le loro infrastrutture sono antecedenti. Si tratta però di un aspetto legale controverso che ha creato dibattito e polemiche. Nel 2013, inoltre, l’Istituto Superiore di Sanità chiese ai Laboratori del Gran Sasso di rivedere le proprie attività, in modo da ridurre i rischi di contaminazione delle acque.
Un processo potrebbe rallentare o compromettere gli esperimenti al Gran Sasso. L’INFN per ora si è limitata a dichiarare che le attività di ricerca proseguono normalmente. Gianpaolo Bellini, ex portavoce dell’esperimento Borexino, ha dichiarato a Science che le polemiche sulle contaminazioni sono “prive di fondamento”. C’è però serio pericolo che la vicenda, a prescindere dal suo epilogo, possa screditare a livello internazionale i laboratori, frenando così l’arrivo di nuovi ricercatori dall’estero. Tra gli addetti ai lavori c’è chi ritiene che i rischi legati agli esperimenti siano stati ingigantiti, portando a un eccessivo allarmismo intorno alle attività dei laboratori, con una precisa volontà di “sabotaggio”.