Sanità: una frattura ogni 3 secondi, “This is a sign” contro l’osteoporosi

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Ogni 3 secondi nel mondo un osso si rompe per colpa della fragilità osteoporotica: fratture al polso, alle vertebre o al femore, che si verificano 25 mila volte al giorno cioè 9 milioni all’anno. Numeri targati Oms, che spiccano fra quelli diffusi per l’edizione 2018 della Giornata mondiale dell’osteoporosi. La ricorrenza si celebra sabato 20 ottobre all’insegna del claim ‘This is a sign‘, un invito a imparare a riconoscere e a non prendere sottogamba i campanelli d’allarme dell’osteoporosi severa, lanciato dalla Iof (International Osteoporosis Foundation) e condiviso dagli esperti della campagna ‘Stop alle fratture’, iniziativa educazionale varata nel 2011 e rivolta agli over 50. Donne e uomini, perché la malattia delle ossa fragili non è un’esclusiva femminile. Colpisce anche lui, circa la metà ma con effetti peggiori: disabilità più frequente, rischio doppio di morte entro un anno da un ‘crac’ femorale.
Realizzata con il supporto non condizionante di Eli Lilly Italia, l’iniziativa coinvolge le società scientifiche di settore Siommms (Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro), Siot (Società italiana di ortopedia e traumatologia), Sir (Società italiana di reumatologia), Ortomed (Società italiana di ortopedia e medicina), Gisoos (Gruppo italiano di studio in ortopedia dell’osteoporosi severa) e Gismo (Gruppo italiano di studio delle malattie del metabolismo osseo). Strumenti chiave il sito e la pagina Facebook ‘StopalleFratture’, con oltre 40 mila like.
Circa 4 milioni di donne e 1,5 milioni di uomini: tante sono in Italia le prede del ‘ladro silenzioso delle ossa’. Secondo le stime, il 50% delle ultra 50enni e il 30% dei coetanei maschi andrà incontro a una frattura da fragilità: quote destinate a crescere con l’invecchiamento della popolazione, insieme al suo peso medico, sanitario, sociale ed economico. Eppure per gli specialisti l’osteoporosi è “una condizione ancora troppo spesso sottovalutata, sottodiagnosticata e sottotrattata“. E siccome per vincere il nemico bisogna anticiparne le mosse, “il primo punto cruciale di approccio a questa malattia – spiega all’AdnKronos Salute Luigi Sinigaglia, direttore di Reumatologia dell’Asst Pini-Cto di Milano – è l’analisi dei fattori di rischio che sono molteplici“: dall’età alla familiarità alle fratture (la presenta un’italiana su 3), dalla struttura fisica (magrezza eccessiva, calo di statura) a stili di vita sbagliati tra cui fumo o abuso di alcol, da patologie concomitanti all’assunzione di alcuni farmaci.
La menopausa precoce, che interessa il 4-5% delle donne, “è per esempio un grandissimo fattore di rischio per andare incontro a fragilità scheletrica“. Come pure lo è “la sedentarietà“, elenca l’esperto. O “il fatto di assumere poco calcio attraverso gli alimenti, prodotti caseari quali latte, yogurt o formaggio“. Ancora: “Chi ha una madre che ha avuto fratture vertebrali, o una frattura del collo del femore nell’ultima parte della vita, ha un rischio di fragilità scheletrica maggiore rispetto a chi non ha questo tipo di familiarità“. Le ossa, poi, sono più ‘sotto tiro’ nei pazienti con malattie reumatiche, diabete, patologie pneumologiche, (Bpco), neurologiche (Parkinson, sclerosi multipla), infiammatorie croniche intestinali. Così come nelle persone che assumono innanzitutto cortisonici, ma anche antiepilettici, anticoagulanti, anticancro inibitori dell’aromatasi.
C’è poi quello che in gergo medico chiamano “effetto domino“, lo ‘tsunami’ della “cascata fratturativa“. Significa che “avere avuto una frattura da fragilità – avverte Sinigaglia – è sicuramente il più formidabile fattore di rischio per averne delle altre. E questo è vero non solo sede per sede (l’avere avuto una frattura vertebrale, per esempio, espone il paziente a un rischio maggiore di fratture vertebrali future)“, bensì anche ‘trasversalmente’ per tutte le sedi: “Le donne giovani che a 50 anni mediamente cadono e si fratturano il polso hanno un rischio futuro di fratture somatiche vertebrali o di fratture del collo di femore molto più elevato rispetto alla popolazione di controllo“. I dati confermano: dopo una frattura vertebrale, il 25% dei pazienti ne riporta una seconda entro un anno e il rischio di rompersi il femore quadruplica. E dopo una prima frattura femorale, le probabilità di rifrattura salgono dal 9% entro il primo anno al 20% entro il quinto.
Le cifre, pur altissime, sono considerate comunque inferiori a quelle reali. E’ soprattutto il caso delle “fratture a carico dei corpi vertebrali: spesso sono dolorose e inducono incapacità funzionale per un certo periodo di tempo, però molte sono assolutamente sommerse – osserva lo specialista – perché non danno sintomi e possono essere misconosciute. Si calcola che ci siano molte centinaia di migliaia di fratture all’anno nel nostro Paese, ma certamente la stima è un pochino deficitaria proprio per il fatto che non tutte queste fratture vengono riconosciute tempestivamente“. Quelle al femore, “in Italia circa 90-100 mila ogni anno“, sono certamente più evidenti e tuttavia anche per queste c’è un problema: negli ospedali “i pazienti finiscono nelle divisioni ortopediche e spesso non vengono mai studiati, quindi non vengono curati, dal punto di vista della fragilità scheletrica“.
Insomma, nella guerra all’osteoporosi severa “l’analisi del profilo di rischio è il primo punto cruciale“, ripete Sinigaglia che chiama in causa “il medico di medicina generale (vede i pazienti in prima battuta e può perfettamente mettere in atto una serie di indagini mirate)”, nonché “il paziente stesso” che nel web, sul sito di Stop alle fratture, può trovare “un questionario che fornisce un punteggio di rischio“.
E’ il ‘DeFra79 Test online’, un tool di autodiagnosi rivisto alla luce della nuova Nota 79 dell’Agenzia italiana del farmaco Aifa, che consente di valutare il proprio rischio personale – basso, medio, elevato, molto elevato – di fratturarsi nei 10 anni successivi. “Di solito – precisa l’esperto – questi questionari devono combinarsi con il dato strumentale della densitometria ossea, che non dice se il paziente ha l’osteoporosi, ma può rilevare una densità ossea ridotta. Fattore di rischio per fratture da fragilità“.
Studi internazionali recenti – osserva Maurizio Rossini, che a Verona dirige la Scuola di specializzazione in Reumatologia dell’università cittadina e l’Unità operativa complessa di Reumatologia dell’azienda ospedaliera universitaria integrata – hanno dimostrato che, se il paziente non ha una corretta percezione del proprio rischio di frattura, l’avvio e l’aderenza alla terapia sono compromesse, aumentando il pericolo di incorrere in uno di questi eventi” che non di rado hanno esiti infausti: per la frattura dell’anca, in particolare, a un anno si registrano una perdita di funzione del 50% e una mortalità del 20%. Invece, “con il nuovo DeFra79 Test online è possibile conoscere il grado di rischio per la salute delle proprie ossa e ricevere un consiglio circa l’eventuale opportunità di parlarne con il proprio medico curante o di recarsi da uno specialista di riferimento“.
Oggi “si tende ancora a considerare l’osteoporosi come una conseguenza fisiologica dell’invecchiamento – commenta Silvia Migliaccio, specialista in Endocrinologia e malattie metaboliche, professore associato all’università Foro Italico di Roma – sottovalutando sia i suoi segnali sia la presenza di fattori di rischio. In realtà le fratture da fragilità ossea possono verificarsi” anche in assenza di un trauma vero e proprio come un urto o una caduta. Può bastare “un minimo sforzo, come sollevare la sporta della spesa. L’osteoporosi rappresenta dunque un importante problema di salute pubblica, con un impatto socialmente rilevante perché influenza negativamente la qualità della vita delle donne che ne soffrono a volte per decenni“.
Delle donne e degli uomini, ribadisce l’ortopedico Alfredo Nardi: “Anche le ossa maschili diventano fragili e maggiormente suscettibili a fratturarsi anche per traumi minimi – puntualizza – L’osteoporosi dell’uomo è stata finora un problema troppo spesso trascurato sia dai medici sia dai pazienti maschi, che vanno incontro a fratture da fragilità spesso inconsapevolmente”. Basti pensare che “dai 50 anni, il rischio per un uomo di subire una frattura è superiore al pericolo di contrarre il cancro alla prostata“.
L’osteoporosi è stata sempre tipicamente inquadrata come una malattia prevalentemente femminile“, concorda Sinigaglia. In effetti “oggi sappiamo che circa il 20% delle donne dopo la menopausa comincia a perdere calcio dalle ossa e questo rappresenta l’anticamera del rischio di frattura. Tuttavia sappiamo pure che anche negli uomini l’osteoporosi è un problema serio ed epidemiologicamente importante“. Indipendentemente dal genere, l’esperto insiste sull’importanza di “una diagnosi corretta. Che deve essere fatta – tiene a dire – solo dopo avere escluso altre patologie che possono indurre fragilità scheletrica“. Ciò premesso, “le forme di osteoporosi secondaria ad altre malattie sono molto più rare“. Mentre “l’osteoporosi idiopatica, quella nella sua forma essenziale, è molto frequente e interessa una grandissima fascia di popolazione. Prevalentemente di età avanzata, ma non necessariamente“.

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