Prevedere un terremoto non è impossibile: per arrivare a questo risultato sarà necessario migliorare “la comprensione di alcuni segnali premonitori, come il movimento dei fluidi prima di una forte scossa“. Lo ha riferito all’ANSA il presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) Carlo Doglioni in seguito all’incontro ‘Porte aperte all’Ingv‘, organizzato dopo due anni dalla sequenza sismica di Amatrice-Visso-Norcia. Gli esperti hanno spiegato a insegnanti e semplici cittadini, in visita ai laboratori dove vengono simulati i terremoti, che da allora sono state circa 95.000 le scosse, e la terra non ha ancora smesso di tremare.
“Finché non riusciremo a interpretare i segnali che ci invia il nostro Pianeta -ha spiegato Doglioni –, non saremo in grado di prevedere i terremoti. Questi segnali esistono: un recente studio congiunto di Ingv, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e Università de l’Aquila dimostra, ad esempio, che prima del sisma di Amatrice del 24 agosto 2016 si è verificato un aumento di pressione nei fluidi all’interno del Gran Sasso. Queste informazioni – ha aggiunto – sono, però, inutili se non accompagnate dallo sviluppo di una rete capillare di strumenti che monitorino il territorio nazionale“, ha rilevato Doglioni. In Italia, secondo una recente indagine Ingv, solo il 6% della popolazione è cosciente di vivere in una zona ad elevata pericolosità sismica. “C’è ancora troppa sottovalutazione, per questo l’alfabetizzazione sismica dei cittadini è fondamentale nel nostro lavoro. Occorre – ha concluso – diffondere cultura e consapevolezza dei rischi naturali“.