Che sarebbe stata una tragedia era chiaro, ma si sperava di proporzioni relativamente ridotte. Purtroppo così non è stato: sono almeno 1.200 i morti in Indonesia in seguito ai due terremoti e allo tsunami che lo scorso venerdì hanno devastato il Paese. Un dramma descritto, simbolicamente, dall’immagine della fuga di massa dalle carceri.
Sono passati soli tre giorni dal disastro e le strade della città di Palu, il principale centro dell’isola di Sulawesi devastato dal sisma, sono ancora coperte di detriti e cadaveri. Non ancora scongiurato l’allarme epidemie, per evitarlo si continua a scavare fosse comuni per seppellire le centinaia di corpi finora recuperati.
Si tratta ormai di città fantasma: sono pochi gli edifici rimasti in piedi, mentre si riducono le scorte di cibo e acqua. Al contempo, continuano le scosse di assestamento che generano panico e destabilizzano i superstiti. Come se non bastasse il bilancio delle vittime è destinato ad aumentare e le strade a diventare ancora più spettrali: le autorità hanno infatti avvertito che una volta che l’area sarà libera dalle macerie, si troveranno ancora più corpi di persone decedute.
Nel frattempo sono iniziate le fughe e l’aeroporto è stato preso d’assalto da migliaia di persone per prendere uno dei pochi voli disponibili verso zone più sicure. Fughe e panico anche da parte di 1.200 detenuti che sono scappati dalle carceri, aggravando l’emergenza già elevata.
Le cifre del disastro sono impressionati: 2,4 milioni di persone coinvolte, tra cui 600mila bambini, che secondo Save The Children rischiano di non avere riparo e cibo a sufficienza, mentre in molti hanno già perso le loro famiglie. Non mancano storie a lieto fine, come il ritrovamento di una ragazzina di 15 anni dopo tre giorni sotto le macerie della sua casa.
Nel paese crescono intanto le polemiche per un’allerta che sarebbe stata revocata troppo presto. Nel mirino è finita soprattutto l’agenzia meteorologica nazionale, la Bmkg, che avrebbe annullato l’allerta troppo presto, poco più di 30 minuti dopo la prima scossa, ma a tsunami in corso. L’agenzia ha assicurato che l’allarme è cessato pochi minuti dopo la terza e ultima ondata. Il problema è che il terremoto ha abbattuto le linee elettriche e di comunicazione. Quindi è molto probabile che gli allarmi non siano mai arrivati agli abitanti della costa.
La tragedia secondo gli esperti ha messo in luce le falle nel sistema di allerta tsunami nell’arcipelago del Sudest asiatico, al centro di una vasta zona sismica. “Non c’erano informazioni su un allerta tsunami nella stazione di monitoraggio delle maree a Palu perchè questa non era attiva” ha detto all’Afp Widjo Kongko, esperto di tsunami presso l’agenzia indonesiana per le tecnologie. La stazione controlla le variazioni delle maree e avrebbe dovuto rilevare le onde distruttive in corsa verso la città. Dopo la scossa iniziale, l’agenzia geofisica indonesiana, che monitora l’attività sismica, ha lanciato un allerta tsunami, che poco dopo ha ritirato. Solo in seguito sono venute alla luce le immagini di un muro d’acqua che si è schiantato sulla città, abbattendo edifici e rovesciando auto.
Le stazioni di monitoraggio delle maree e i modelli matematici sono i principali strumenti in Indonesia per prevedere se un terremoto ha generato uno tsunami. Ma anche se tutte le stazioni funzionassero, il sistema è limitato e dà ai cittadini poco tempo per fuggire, dato che rileva le onde solo quando sono ormai sotto costa. I tentativi di migliorare i sistemi si sono arenati sull’incapacità di effettuare una manutenzione adeguata dei nuovi strumenti e sulle diatribe burocratiche.
Dopo un terremoto-tsunami nel 2004 al largo di Sumatra, che uccise 220mila persone, la maggior parte in Indonesia, sono state schierate nelle acque del Paese 22 boe di allerta anticipato degli tsunami. Ma le autorità hanno davuto ammettere che non funzionano più perchè sono state vandalizzate e mai più ripristinate per mancanza di fondi. In un altro caso, un importante progetto finanziato dagli Usa per installare sensori high-tech per gli tsunami in un’area sismica dell’Indonesia occidentale è stato rinviato per dissidi tra le agenzie governative.
Altri esperti hanno però rilevato che per evitare disastri così gravi basterebbe, per cominciare, semplicemente spiegare agli abitanti che devono spostarsi verso luoghi elevati quando un terremoto colpisce, piuttosto che concentrarsi su costose tecnologie che molte comunità in un Paese in via di sviluppo non possono permettersi. “Perchè un luogo come l’Indonesia tenti di difendere la sua linea di costa, l’educazione è quasi certamente più importante della tecnologia in un futuro prevedibile” ha detto Adam Switzer, esperto di tsunami dell’università Nanyang di Singapore. “Ogni bambino indonesiano deve sapere cosa fare se si trova sulal costa e arriva un terremoto”.
Gli osservatori sottolinenano che il terremoto di venerdì è stato molto complesso e che prevedere che un’onda di tsunami si sarebbe schiantata sulla piccola comunità di Palu era molto difficile. La scossa iniziale è stato uno spostamento laterale di placche tettoniche, piuttosto che il violento scossone verso l’alto che tipicamente genera grandi onde distruttive. Gli esperti ritengono che lo tsunami sia stato causato da una frana sottomarina seguita la terremoto. La posizione geografica unica di Palu non ha aiutato e lo tsunami si è intensificato correndo nella stretta baia al fondo della quale giace la città.
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