Il costo dei farmaci anticancro è in costante crescita nel nostro Paese. In cinque anni (2013-2017) la spesa per le terapie contro i tumori è passata da 3,6 a 5 miliardi di euro. Un incremento che si registra anche a livello globale, visto che nel mondo nel 2017 queste uscite hanno raggiunto i 133 miliardi di dollari (erano 96 nel 2013). Dall’altro lato, però, in Italia i farmaci antitumorali rappresentano soltanto il 7% del costo totale del cancro (che include anche le spese sociali, il mancato reddito del malato e delle persone che prestano assistenza e altri costi indiretti). Non solo. Queste molecole antitumorali hanno consentito di ottenere importanti risparmi sulla spesa sanitaria totale, quantificabili nel nostro Paese in circa un miliardo e 500 milioni di euro in un quinquennio (2013-2017), riducendo ad esempio il numero delle ospedalizzazioni e il costo di altre prestazioni e migliorando la qualità di vita dei pazienti. Oggi la nuova frontiera della lotta ai tumori è costituita dall’oncologia di precisione e la sfida è poter garantire a tutti i pazienti le cure migliori in tempi brevi. Un obiettivo su cui si confrontano più di 24mila esperti al congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO, European Society for Medical Oncology), che si apre oggi a Monaco. “Nel periodo 2012-2016 nel mondo sono state lanciate 55 nuove molecole anticancro – spiega Stefania Gori, Presidente nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar -. L’Italia, che ha consentito l’accesso a 36 di queste terapie entro il 2017, si colloca al quarto posto dopo gli Stati Uniti (47), Germania (44) e Regno Unito (41) e davanti a Francia (35), Canada (33) e Spagna (31). Si tratta di un risultato molto importante, anche perché il nostro sistema sanitario è universalistico e garantisce le cure a tutti cittadini, a differenza di quanto avviene ad esempio negli USA. Però non si può considerare soltanto il parametro ‘costo’ senza analizzare il risultato che ne deriva”.
“E i risultati ottenuti oggi in Italia sono molto buoni – afferma Giordano Beretta, Presidente eletto AIOM e Responsabile Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo -. Nel 2018 nel nostro Paese sono stimati 373.300 nuovi casi di tumore (194.800 uomini e 178.500 donne): una crescita in termini assoluti (perché aumenta la parte di popolazione anziana), ma a fronte di una stabilità nel numero annuale di morti per tumore e di un aumento della sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi rispetto agli Anni Novanta. Il 63% dei pazienti che hanno avuto il cancro è infatti vivo a cinque anni, percentuale che pone l’Italia al vertice in Europa (57%)”.
“Per affrontare la malattia ‘cancro’, non dobbiamo comunque limitare la nostra attenzione solo ai costi del farmaco antitumorale – continua il Presidente Gori -. È necessario, invece, avere una visione globale: devono quindi essere potenziati gli investimenti in prevenzione (agire su stili di vita scorretti potrebbe ad esempio dimezzare nei prossimi decenni il numero di nuove diagnosi di tumore in Italia) e le Reti oncologiche devono diventare realtà in tutte le Regioni italiane”.
“Le Reti oncologiche, mettendo in rete le strutture sanitarie, permettono infatti un’assistenza adeguata di ogni paziente razionalizzando al contempo i costi, con una riduzione degli sprechi – sottolinea Giordano Beretta -. È necessario, quindi, delineare i PDTA (percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali) per patologia e identificare indicatori che permettano una costante valutazione delle performance sanitarie regionali”.
“È inoltre essenziale che tali indicatori siano idonei e anche facilmente estraibili dai flussi amministrativi. E ancor più: che siano ‘condivisi’ tra società scientifiche, oncologi e Istituzioni (AGENAS e Ministero della Salute) – continua il Presidente Gori -. Una organizzazione sanitaria adeguata può incidere infatti sulla sopravvivenza dei pazienti in modo incredibile. Essere curate in ospedali ad alto volume di attività aumenta i tassi di sopravvivenza a 5 anni delle donne con carcinoma mammario, così come una gestione multidisciplinare di queste pazienti può permettere di ridurre del 18% la mortalità per questa neoplasia a 5 anni”.
“Questi risultati – conclude il Presidente Gori – sono stati evidenziati in Belgio e in Gran Bretagna, ma ci offrono una dimensione di ciò che è ottenibile attivando un’organizzazione sanitaria oncologica adeguata, razionale e di qualità”.