La Terra ha sete, e ne ha molta di più di quanto credessimo. Le zone in cui le placche continentali scivolano le une sulle altre ne risucchiano dagli oceani tre volte più del previsto. A questa evidenza è giunto uno studio pubblicato sulla rivista Nature da un gruppo della Washington University di St. Louis, coordinato da Chen Cai. Nel corso della ricerca sono state effettuate numerose analisi sismiche con decine di sismografi nella Fossa delle Marianne, ovvero la fossa oceanica più profonda della Terra. “Lo studio mostra che le cosiddette zone di subduzione spingono a una profondità superiore ai 100 chilometri più acqua di quanto si pensava“, ha precisato Cai. Una parte di quest’acqua, poi, è stata reimmessa nell’atmosfera dall’attività vulcanica sotto forma di vapore acqueo.
“Un risultato che ha importanti implicazioni nel ciclo globale dell’acqua“, ha aggiunto il ricercatore. L’acqua, dunque, andrebbe a insinuarsi lungo le linee di faglia per poi restarvi intrappolata e non riuscire più a tornare in superficie. “Alle particolari condizioni di temperatura e pressione legate ai movimenti delle placche, l’acqua si trasforma in una forma non liquida legata alle rocce, come minerali idratati“, hanno raccontato gli autori. In sostanza le rocce diventano come una sorta di spugna e “in questo modo l’acqua rimane legata alla roccia, e viene trascinata in profondità“.