L’ictus registra in Italia 150.000 nuovi casi ogni anno e si avvicina ormai al milione il numero di persone che nel nostro Paese convivono con disabilità conseguenti a questa patologia. Ma quante probabilità ha una persona colpita da cerebrolesione di ritornare alla propria attività lavorativa? Quali sono i tempi e i principali ostacoli del suo reinserimento professionale? Il reinserimento professionale di persone colpite da ictus registra un forte divario: nel caso di danno cerebrale severo il 20% rientra al lavoro entro l’anno, mentre nel caso di un danno cerebrale di bassa o media entità si sale al 71,9%. A fare il punto gli esperti riuniti al convegno ‘Ictus: fattori di rischio, prevenzione e riabilitazione’, organizzato dalla Fondazione Santa Lucia Irccs e da Inail nel centro congressi della Fondazione a Roma.
I numeri del fenomeno sono stati presentati da Stefano Paolucci, direttore di Unità di neuroriabilitazione all’Irccs Santa Lucia, che comparando i risultati di oltre 50 studi scientifici condotti in tutto il mondo negli ultimi dieci anni, ha potuto rilevare alcuni ostacoli che emergono con sufficiente chiarezza, nonostante una parziale variabilità dei dati raccolti nei diversi campioni osservati. “Tra i più rilevanti – osserva Paolucci – ci sono le disabilità cognitive, innanzitutto i difetti di attenzione e la perdita dell’uso del linguaggio provocato dall’afasia, ovvero deficit tipicamente presenti nei casi di ictus con danno cerebrale esteso. Influisce anche la depressione, altro fenomeno tipico per questa tipologia di pazienti, ma in modo non altrettanto decisivo“.
Le possibilità di tornare al lavoro sono tre volte superiori per i professionisti con un livello di scolarizzazione più alto e un’attività lavorativa più intellettuale, rispetto a persone che svolgono professioni manuali, secondo i risultati di uno studio condotto tra gli altri da Harvard Medical School e Yale Medical School.
I dati sulle differenze di genere vanno considerati con prudenza, dicono gli esperti, perché influenzati fortemente dal contesto culturale e normativo da Paese a Paese, ma uno studio completato sempre nel 2016 in Corea del Sud (su 933 casi di ictus) rileverebbe che sotto la soglia dei 65 anni sono il 70,2% degli uomini contro il 48,3% delle donne a ritrovare la strada verso il lavoro.
Ma come prevenire, anche sul lavoro, l’insorgere di un ictus? “Non si può semplificare, perché molti fattori extra lavorativi, legati a stato di salute e stili di vita, possono provocare l’ictus – ha spiegato nel suo intervento Carlo Serrati, direttore dell’Unità operativa di neurologia dell’ospedale San Martino Irccs di Genova – In ambito lavorativo tuttavia un fattore di rischio è sicuramente lo stress, inteso non in modo generico ma nella sua accezione più strettamente medica. Qui le persone più esposte sono quelle che conducono un lavoro ad alta domanda e basso controllo. Sono persone esposte a moltissime sollecitazioni senza la possibilità di decidere e selezionare quello che si può e non si può fare“.
Il mondo del lavoro dei prossimi vent’anni sta cambiando: come ha detto il sociologo Domenico De Masi, è destinato a divenire sempre più intellettuale e meno fisico, sempre più destrutturato nei tempi e nei luoghi, e sempre più legato a motivazione e creatività personale in termini di successo e produttività. “Il filo rosso della giornata odierna è il tema del lavoro – ha concluso il direttore generale dell’Irccs Santa Lucia, Edoardo Alesse – Da un lato il costante impegno di medici e ricercatori che operano quotidianamente all’interno del nostro Irccs con l’obiettivo di raggiungere nuovi traguardi per la prevenzione, la diagnosi e la cura delle patologie neurologiche. C’è poi il tema del ritorno al lavoro per i pazienti, fondamentale per restituire loro autonomia e qualità di vita“.
150 mila nuovi casi ictus
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