Paradise è una città di circa 27.000 abitanti della California del nord, sulla quale si tramanda una dolce leggenda. In un giorno rovente d’estate del 1850 circa, gli operai di una segheria con un carretto ed un bue al seguito fecero una pausa in un boschetto di alti sempreverdi. L’aria era fresca e gli aghi dei pini profumati. “Ragazzi – disse il capo – questo è il paradiso”. Così, circa 170 anni fa, nacque Paradise. È stata arricchita con l’oro proveniente dalle vicine colline e il legno raccolto nelle foreste. Nel corso delle generazioni, migliaia di persone hanno vissuto in questo posto e lo hanno amato. Vi hanno costruito case e aziende, scuole e luoghi di culto, parchi e musei che hanno orgogliosamente onorato Paradise nella storia americana.
La scorsa settimana, in poche ore, è sparito tutto: oltre 9.000 case, centinaia di negozi ed edifici, supermercati e ferramenta. Questa città californiana è stata letteralmente ridotta in cenere dalle fiamme del Camp Fire, l’incendio più mortale dell’ultimo secolo nello stato. Il bilancio parla di 71 vittime e di oltre 1.000 dispersi, cifra poco significativa a causa della difficoltà di rintracciare le persone che in realtà sono sopravvissute. E passando tra le rovine incandescenti, i ricordi sono l’unica cosa che rimane a molti di coloro che sono riusciti a sfuggire alle fiamme.
Patrick Knuthson, 49 anni, fatica a trovare un senso a ciò che vede, indica posti che ormai non ci sono più: un pub, il suo ristorante messicano preferito, un motel, il banco dei pegni, un’agenzia immobiliare, un’enoteca, un’officina meccanica e interi parcheggi per roulotte. Al Gold Nugget Museum, il pavimento è scricchiolante e caldo, pochi uccelli vi cantano vicino e qualche cervo ricoperto di fuliggine sta ancora sotto un albero carbonizzato. Paradise era una città dove le famiglie mettevano radici e dove i turisti volevano rimanere. I bambini potevano andare in bicicletta nei parchi, andare a nuotare nello stagno, giocare con archi e frecce alla vicina polisportiva. Crescendo, potevano andare a fare canoa nei canyon nella foresta.
Paradise aveva anche i suoi problemi, in particolare con la tossicodipendenza e la povertà, ma i cittadini si sentivano comunque al sicuro. I ritmi della città erano rilassati. I residenti si salutavano con la mano al mattino e urlavano “ciao” mentre andavano a lavorare sulle strade ventose e fiancheggiate dagli alberi. Le famiglie tenevano piccoli giardini e vi piantavano verdure, vendendo il loro raccolto. Louise Branch, 93 anni, descrive Paradise come il luogo perfetto in cui trascorrere la vecchiaia: “È una città lenta. Le persone hanno giardini e cani. Mi piaceva soprattutto in autunno, quando gli alberi erano pieni di colori”. I parchi si coloravano di fiori in primavera e venivano ricoperti di una leggera neve in inverno. A 762 metri di altezza, su una collina che sorge sopra i profondi canyon scolpiti dal Feather River e dal Butte Creek, Paradise offriva una pausa fresca dal caldo delle valli sottostanti. Ora anche di questa collina non è rimasto più nulla.
Glenn Harrington ha cresciuto due figli a Paradise, che ha trovato così pittoresca da aprire una pagina Facebook con il nome di “Visions of Paradise”: immagine dopo immagine, racconta la storia e lo spirito della città, i suoi colori e i suoi numerosi festival. Ogni primavera si festeggiavano i Gold Nugget Days, che segnavano la scoperta di una pepita d’oro di quasi 25kg nel 1859. Nel Donkey Derby della vicina Old Magalia i residenti ricreavano il modo in cui i minatori portarono la famosa pepita in città. In autunno, si festeggiano i Johnny Appleseed Days, che raccoglievano i residenti nel centro ricreativo per giochi e fiere dell’artigianato. In questa occasione venivano cucinate oltre 1.000 torte con la frutta di Noble Orchads, una fattoria quasi secolare dove gli alberi erano pieni di ciliegie, pesche, prugne e 17 varietà di mela.
“Paradise è tutto ciò che il nome implica”, spiega Tom Hurst, 67 anni, che a Paradise allevava cavalli nel suo ranch. Ha dei parenti sepolti nel cimitero della città che risalgono ai primi anni del 1900 e rifiuta di parlare della città al passato. Qualche edificio è ancora in piedi, per la verità, tra cui il municipio e il Feather River Hospital. “Non usate la parola “era”, usate la parola “è”, perché non siamo finiti, stiamo solo ricominciando”. E in effetti c’è molto da rimpiangere. Ora i soccorritori estraggono resti umani dalle auto e dalle case, le squadre di emergenza cercano linee elettriche e fughe di gas, i vigili del fuoco pestano detriti fumanti e uno spesso strato di fuliggine grigia incombe sulla città. L’aria tossica piena di fumo è il triste promemoria di quello che c’era e ora non c’è più, in quel posto dove i cieli erano così azzurri durante la giornata e così bui alla sera, tanto da far innamorare tutti i turisti delle loro meravigliose stelle cadenti nelle notti d’estate. “Servirà molto tempo per riportare tutto indietro”, conclude Knuthson.