Il melanoma colpisce di più nel Nord del nostro Paese. Nel 2018 si stima che in Italia saranno diagnosticati 13.700 nuovi casi di questo tumore della pelle particolarmente aggressivo in fase avanzata, con un’incidenza raddoppiata in poco più di dieci anni (erano circa 7.000 nel 2007). E le nuove diagnosi riscontrate nel Mezzogiorno rispetto al Settentrione sono il 45% in meno tra gli uomini e il 42% in meno tra le donne. Uno dei motivi principali di questa netta differenza è da ricercare nei fototipi più elevati (cioè nella maggiore capacità della pelle di reagire all’esposizione solare), molto diffusi al Sud e in grado di svolgere un ruolo protettivo. Oggi sono disponibili armi efficaci per controllare la malattia anche nella fase avanzata, come l’immunoterapia. Un approccio a cui la Fondazione Melanoma dedica il convegno internazionale Immunotherapy Bridge che si apre oggi a Napoli con la partecipazione di più di 200 esperti. “L’immunoterapia, che potenzia il sistema immunitario per combattere il tumore, ha dimostrato di essere un’arma efficace innanzitutto contro il melanoma e ha evidenziato risultati significativi anche in tumori frequenti come quelli del polmone, seno, rene, vescica e colon-retto – spiega il prof. Paolo Ascierto, Presidente della Fondazione Melanoma e Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto ‘Pascale’ di Napoli -. L’Italia ha contribuito in maniera decisiva alle ricerche che hanno permesso di rendere disponibili le terapie immunoterapiche alle persone colpite da neoplasie in fase molto avanzata. Il ‘Pascale’ si colloca fra i primi tre centri al mondo per numero di pazienti con melanoma trattati con queste armi: dal 2008 a oggi, sono stati circa 3.000”. L’Immunotherapy Bridge precede il Melanoma Bridge, che si svolgerà nel capoluogo campano dal 29 novembre all’1 dicembre. “Il melanoma ha rappresentato il modello ideale per verificare l’efficacia della immunoterapia – afferma il prof. Ascierto -. Fino a pochi anni fa, non esistevano terapie realmente efficaci nel melanoma metastatico. La prima molecola immunoterapica approvata, ipilimumab, ha dimostrato risultati importanti: il 20% delle persone colpite dalla malattia in fase metastatica è vivo a 10 anni dalla diagnosi. E proprio ipilimumab sta evidenziando un significativo ‘effetto memoria’: la sua efficacia si mantiene a lungo termine, anche dopo la fine del trattamento”. Al Bridge viene presentato in anteprima uno studio di fase III su ipilimumab (CA184-169). “Sono state coinvolte 727 persone con melanoma avanzato, 54 arruolate al ‘Pascale’ – continua il prof. Ascierto -. Ipilimumab è stato approvato negli Stati Uniti e in Europa alla dose di 3 mg/Kg. Questo studio ha dimostrato che, a 5 anni, il 25% dei pazienti trattati con ipilimumab a un dosaggio maggiore (10 mg/Kg) è vivo rispetto al 19% di quelli che ne avevano assunto una quantità inferiore (3 mg/Kg). Sappiamo che con l’immunoterapia, dopo 36 mesi, le percentuali di sopravvivenza si mantengono stabili nel tempo, per cui lo studio suggerisce l’opportunità di aumentare il dosaggio della molecola per raggiungere un netto miglioramento della sopravvivenza a lungo termine”.
“Il patrimonio costituito dalle ricerche cliniche condotte dal Pascale rappresenta una straordinaria opportunità anche per altri centri internazionali – sottolinea il prof. Gerardo Botti, Direttore Scientifico dell’Istituto partenopeo -. L’obiettivo finale è la condivisione di importanti materiali e informazioni cliniche che vanno in entrambe le direzioni: dal letto del paziente alla ricerca e viceversa. Il centro partenopeo vanta una tradizione pluriennale nello studio del melanoma, confermata anche dalla produzione scientifica: ogni anno pubblica circa 10 ricerche su prestigiose riviste internazionali che hanno come tema proprio la terapia di questa forma di cancro. Oggi è possibile parlare di cronicizzazione del melanoma in circa un quinto dei casi. Per alcune neoplasie in fase metastatica, però, i tassi di sopravvivenza a cinque anni continuano a rimanere inferiori al 20%, ad esempio nel polmone sono pari al 16% e nel pancreas all’8%. Queste basse percentuali evidenziano la necessità di migliorare gli attuali standard di cura in tumori particolarmente difficili da trattare. Obiettivo che può essere raggiunto anche grazie ai confronti internazionali offerti ad esempio dal convegno Immunotherapy Bridge. Il Premio Nobel assegnato recentemente a James Allison e a Tasuku Honjo per i loro studi sull’immunoterapia fotografa la portata della rivoluzione determinata da questo approccio”.
Grazie all’immunoterapia si aprono nuove prospettive anche nella terapia adiuvante del melanoma, cioè dopo l’intervento chirurgico proprio per ridurre il rischio di recidiva. “Al Congresso Americano di Oncologia Clinica (ASCO) che si è svolto a Chicago lo scorso giugno – spiega il prof. Ascierto –, sono stati presentati i risultati aggiornati dello studio CheckMate -238 in pazienti con melanoma in stadio IIIB/C o IV ad alto rischio di recidiva, che dimostrano che il trattamento precoce con l’immunoterapia può determinare benefici con un notevole miglioramento dei tassi di sopravvivenza libera da recidiva: questo significa che sempre meno pazienti svilupperanno metastasi. Inoltre ci sono evidenze che indicano l’opportunità di anticipare il trattamento con l’immunoterapia prima della chirurgia (neoadiuvante), per poi interromperlo una volta raggiuntata la risposta completa”. “Al Bridge viene anche presentato uno studio che ha portato al recupero di un ‘vecchio’ farmaco, NKTR-214, una nuova formulazione dell’interleuchina 2, utilizzata già circa trent’anni fa – continua il prof. Ascierto -. La combinazione con un immunoterapico, nivolumab, ha evidenziato importanti tassi di risposta completa, pari al 24%, in pazienti con melanoma metastatico”.
“Il ‘Pascale’ – spiega il dott. Attilio Bianchi, Direttore Generale dell’Istituto – è l’unico ospedale in Italia organizzato per Dipartimenti d’organo. Con questo tipo di organizzazione si uniscono professionalità che migliorano il trattamento dei pazienti. L’immunoterapia rappresenta una delle priorità del nostro Istituto, che vanta una esperienza che non ha eguali a livello internazionale, ed i nostri ricercatori lavorano costantemente per sviluppare nuove strategie in tal senso. Circa il 20% dei nostri pazienti viene da fuori Regione a testimoniare l’eccellenza raggiunta. Accanto alla ricerca, svolgono un ruolo essenziale anche le campagne di prevenzione, come quelle realizzate dalla Fondazione Melanoma, che si traducono in milioni di vite salvate e in risparmi per il sistema sanitario nazionale”.
Il valore della ricerca italiana è confermato anche da un altro studio (Secombit), promosso dalla Fondazione Melanoma e illustrato al convegno di Napoli. “L’obiettivo – conclude il prof. Ascierto – è individuare la giusta sequenza di terapie nei pazienti con melanoma metastatico che presentano la mutazione del gene BRAF. Saranno coinvolte 230 persone da 9 Paesi europei, l’arruolamento si chiuderà nei prossimi mesi e il termine dello studio è previsto a giugno 2021. Il trial, sui cui risultati c’è molta attesa a livello internazionale, sperimenta tre opzioni per individuare la sequenza migliore: cioè la combinazione di terapie a bersaglio molecolare (per proseguire con la combinazione di molecole immuno-oncologiche dopo progressione di malattia) o immuno-oncologiche (per proseguire con la combinazione di target therapy dopo progressione) oppure la sequenza di terapie target e immuno-oncologiche (e solo in caso di progressione la prosecuzione con terapie target)”.
Melanoma: colpisce di più al Nord Italia, l’immunoterapia “un’arma efficace”
MeteoWeb