“I parametri che ci danno idea di un imminente evento eruttivo importante – ha spiegato nei giorni scorsi a MeteoWeb l’esperto INGV dell’Osservatorio Etneo, Salvatore Giammanco – sono forti deformazioni del suolo, emissioni gassose importanti, tremore vulcanico, che in genere avvengono pochi giorni prima dell’eruzione. Le tempistiche con cui si verificano questi fenomeni sono sufficienti per dare l’allarme alla Protezione Civile“. Giammanco, in riferimento a quanto sta accadendo in Sicilia e allo sciame sismico in atto da settimane nei pressi dell’Etna, ha spiegato che non si tratta di nulla di anomalo, e che nel caso dell’Etna “la situazione è tenuta sotto controllo e nel momento in cui arriveranno segnali più importanti avremo tutto il tempo di avvisare e prevenire“.
Prevedere le eruzioni, dunque, è possibile. Ma i metodi utilizzati dagli esperti sono diversi e di varia natura. A questo proposito uno studio pubblicato sul Journal of Geophysical Research descrive un nuovo sistema in grado di lanciare un allarme in caso di eruzione imminente, con un preavviso di circa un’ora. Si tratta del primo sistema simile al mondo, messo a punto nel 2010 e che è stato ‘testato’ in questi otto anni con un bilancio assolutamente positivo: su 59 eventi monitorati, in 57 casi è stato possibile prevederli. A portare a termine lo studio è stata una equipe di ricercatori dei dipartimenti di scienze della Terra delle università di Firenze e di Palermo, sotto la guida dal geofisico Maurizio Ripepe.
Per prevedere le eruzioni, il sistema analizza le onde acustiche a bassa frequenza. Si tratta di suoni che gli esseri umani non riescono a sentire, ma che viaggiano per migliaia di chilometri. Per individuarlo sono necessari appositi strumenti posti in luoghi anche molto distanti tra loro e dal vulcano che si sta prendendo in esame. L’obiettivo iniziale della ricerca era quello di sviluppare un sistema di monitoraggio per l’Etna, che permettesse di lanciare un allarme con largo anticipo rispetto all’eruzione. Lo studio si basava sul rilevamento di infrasuoni, ma durante la ricerca gli scienziati si sono resi conto che il vulcano produce anche onde a bassa frequenza, poco prima dell’eruzione.
L’Etna facilita questo tipo di previsione perché il magma è molto superficiale e vicino all’atmosfera, dunque con l’innalzamento del gas prima di un’eruzione l’aria si muove verso l’alto e verso il basso, proprio nelle vicinanze della bocca del cratere. Ed è con questo movimento ‘altalenante’ che si creano onde sonore individuabili solo con gli appositi strumenti. Questo tipo di previsione, purtroppo, non si può fare con altri tipi di vulcani, considerati di gran lunga più aggressivi dell’Etna, come ad esempio il Vesuvio e i Campi Flegrei. In questi casi, infatti, il magma si trova in profondità e il movimento dei gas non produce effetti sull’atmosfera.
Si tratta dunque di un potenziale strumento importante per prevedere i terremoti, ma anche l’esperienza, lo studio e il monitoraggio che i sismologi operano intorno ai vulcani e al territorio che lo circonda, non sono da meno. I segnali di un’imminente eruzione, infatti, arrivano già qualche giorno prima del’evento eruttivo, nei vulcani come l’Etna soprattutto, ma anche in quelli più pericolosi come il Vesuvio, sebbene più violenti e difficili da ‘gestire’. E dunque si può potenzialmente dare l’allarme con largo anticipo. Perché se avvisare la popolazione un’ora prima dell’eruzione può essere utile a salvare vite umane, ancora più utile è saperlo giorni prima. Scene di panico e fughe improvvise potrebbero, verosimilmente, causare ancora più vittime di quanto non farebbe un’eruzione.
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