Il terremoto che ha scosso ieri sera il Lazio, in particolare la zona tra Roma e Rieti, obbliga a porsi alcune domande in merito al rischio sismico di quel territorio e ai pericoli riguardo ai quali la popolazione deve assumere maggiore consapevolezza. Come spiega ai microfoni di MeteoWeb il professor Antonio Moretti, dell’Università degli Studi dell’Aquila: “La zona appenninica dell’alto Tirreno non è caratterizzata da una tettonica molto violenta come quella dell’asse centrale: troviamo morfologie più basse e faglie meno evidenti. L’attività vulcanica è meno diffusa. Si tratta di una fascia geologicamente abbastanza conosciuta e sappiamo che storicamente ha dato pochi terremoti ma alcuni molto forti. Si tratta di una zona dove le strutture ci mettono più tempo a ricaricarsi, ma una volta che si ricaricano gli effetti possono essere identici a quelli delle zone ad alto rischio sismico”.
“Tutta la fascia tosco-laziale, fino a Napoli – precisa il geologo -, ha storicamente avuto dei terremoti di lieve entità, ma anche episodi più importanti. Siena, per esempio, nel 2017 a.C. ha avuto una scossa del decimo grado. Anche Rieti, che si trova nell’antica zona Sabinia, ha vissuto un decimo grado nel 174 a.C. Più “recentemente”, nel 1695, si verificò il famoso terremoto di Orvieto, anch’esso del decimo grado. Poi fu la volta di quello orciano-pisano, sempre con la stessa magnitudo, che si registrò nel 1846. Quest’ultimo venne avvertito da Livorno fino a Cecina e fece parecchie centinaia di morti. Anche Cassino e Sora hanno avuto delle scosse di decimo grado Mercallo, rispettivamente nel 1349 e nel 1654. Si tratta di terremoti di fascia esterna rispetto alla catena appenninica”.
Ma quali sono i rischi nella zona, soprattutto per i cittadini? “Dal punto di vista del rischio – come illustra Moretti –, il fatto che i terremoti abbiano tempi di ritorno molto lunghi abbassa la rischiosità della zona. Ma ci sono due ordini di problemi. Innanzitutto si tratta di terremoti storici di cui non abbiamo esperienza strumentale, dunque non sappiamo quale sia stato il meccanismo che li ha causati e se se ci sono state scosse premonitrici”. Queste ultime, infatti, risulterebbero utili per un’eventuale previsione o quanto meno per una maggiore consapevolezza del rischio. “Abbiamo pochi elementi per poter fare previsioni – specifica il ricercatore -. Quel che è certo è che questa attività sismica non deve per forza far pensare all’arrivo di un grosso terremoto, ma è sicuramente necessario avere prudenza e prevenire anche laddove il rischio è minore”.
Il rischio dato alle diverse zone sismiche del nostro pianeta e dunque anche della nostra penisola, infine, “è dato dalla probabilità che si verifichi un terremoto, e non dal danno che può fare. Dunque in alcune zone il rischio è minore perché le scosse sono più rare, ma ciò non significa che un eventuale terremoto sia di intensità minore rispetto ad una zona considerata ad alto rischio”. Fare previsioni è dunque difficile per quella zona, e considerando che l’ultima forte scossa si è verificata a metà ‘800 sarebbe anche azzardato presumere che i tempi di “ricarica” possano essere maturi dopo 150 anni, visto che i terremoti storici di cui si ha notizia non hanno avuto cadenze regolari. Ma prevenire e avere consapevolezza del rischio che comunque esiste è fondamentale per evitare danni e perdite in termini di vite umani in caso di una scossa importante.