Quanto sta accadendo a Palmi risolleva il problema della sismicità in Calabria, notoriamente tra le regioni più sismiche d’Italia. Questo è dimostrato anche dalla tabella cronologica di MeteoWeb relativa a tutti i terremoti con Magnitudo superiore a 5.5. In duemila anni di storia la Calabria è stata interessata da una ventina di terremoti distruttivi che hanno coinvolto praticamente tutto il suo territorio. Eventi caratterizzati dai più elevati rilasci di energia dell’intera catena appenninica, con Magnitudo superiori a 6.5. Tra l’altro tali disastri hanno inciso notevolmente anche sul contesto sociale, causando non solo danni e vittime ma influenzando anche i flussi migratori e condizionando la crescita dei centri abitati, più volte ricostruiti se non addirittura spostati in altre zone. Riviviamo brevemente questi eventi.
Già il letterato greco Strabone nei suoi scritti parla di un terremoto avvenuto a Reggio Calabria intorno al 90-91 a.C., ma è del IV secolo, intorno all’anno 363 (la datazione è incerta), il primo sisma di cui si hanno notizie attendibili. Questo evento interessa entrambe le sponde dello Stretto ed è paragonabile, anche se certamente meno potente, a quello del 1908. Si segnalano danni fino a Tindari, sulla costa settentrionale della Sicilia, e perfino un certo spopolamento delle cittadine costiere, confermato da archeosismologia: segno questo di un possibile tsunami.
Non è semplice però avere informazioni di periodi così lontani nel tempo. Difatti per quasi un millennio mancano testimonianze di eventi importanti. Si deve arrivare al 1509 perchè si parli di un nuovo terremoto che colpisce la Calabria Meridionale, con epicentro stimato tra Reggio e Sant’Agata. Anche la stessa Palmi viene parzialmente distrutta. Tuttavia il primo evento veramente distruttivo di cui si hanno notizie accurate è del 1638 quando ad essere colpita è l’area tra la Sila ed il Tirreno, con una sequenza di 3 scosse principali con intensità superiore al grado IX della scala MCS.
La sera del 27 marzo la prima scossa, di Magnitudo stimata 6.8 e con epicentro poco a Sud di Confienti, colpisce soprattutto la bassa valle del fiume Savuto e l’alto bacino del Crati, con danni ingenti anche sul litorale tirrenico del Golfo di Sant’Eufemia. Numerose le cittadine rase al suolo: Martirano, Rogliano (dove muoiono 500 abitanti), Scigliano (800 vittime), Motta S. Lucia, Carpanzano, Marti diventano paesi-fantasma, presto abbandonati dalla gran parte della popolazione. Cosenza subisce danni rilevanti, anche a seguito di una frana sismoindotta sul colle Pancrazio. Il sisma è ben avvertito anche in Sicilia. La mattina seguente, Domenica delle Palme, un’altra scossa, di Magnitudo 6.6, devasta la Calabria centrale, con epicentro spostato a Sud, nei pressi di Nicastro dove si contano circa tremila morti: molte vittime si registrano nel crollo della chiesa dei Francescani proprio mentre è in corso la funzione religiosa. A causa della devastazione prodotta da questo sisma, Sant’Eufemia sarà abbandonata e ricostruita in un altro sito. Una testimonianza preziosa di questo evento è fornita dal gesuita e scienziato Athanasius Kircher che all’epoca si trova in viaggio proprio nelle terre colpite. In un suo libro (Mundus subterraneus in XII libros digestus) racconta di un rombo tremendo proveniente dal sottosuolo all’atto del terremoto e delle città ridotte ad “un ammasso putrido e lugubre” di macerie. Parla anche di un “lago” e difatti nella piana circostante Sant’Eufemia, a seguito della scossa, si aprono fenditure e voragini che, accompagnate da fenomeni di subsidenza, sconvolgono l’assetto idrogeologico dell’area, formando un’ampia zona paludosa che sarà bonificata soltanto alla fine degli anni Venti del XX secolo. Poco dopo, la terza scossa si sviluppa ancora più a Sud, in corrispondenza del versante occidentale delle Serre. Monteleone, oggi Vibo Valentia, è la città più colpita, ma subiscono danni rilevanti anche Rosarno, Briatico, Mileto, Borrello e Tropea. In totale, la sequenza colpisce più di cento paesi mentre la difficile stima delle vittime si aggira tra le 10mila e le 30mila unità. L’8 giugno dello stesso 1638 un’altra forte scossa, di Magnitudo 6.7, colpisce il crotonese, causando un altro migliaio di morti.
Gli eventi del 1659 (Magnitudo 6.5, colpita la Calabria centrale, 2000 vittime) e del 1743 (Magnitudo 5.7, distrutta Mileto) introducono ad una delle sequenze più terribili nella storia del nostro paese. Cinque terremoti in 50 giorni devastano l’intera regione, cambiando la fisionomia di ampie fette di territorio.
Una tragedia immane che colpisce una zona già economicamente arretrata, ancora governata dal Regno delle Due Sicilie, con un sistema agrario di stampo semi-feudale, e che si risolleverà a fatica e lentamente da un disastro terrificante. Tutto comincia intorno a mezzogiorno del 5 febbraio 1783 quando si sviluppa una scossa devastante, Magnitudo macrosismica pari a 7.0 ed epicentro in Aspromonte, nei pressi di Oppido Mamertina, semidistrutta. Il sisma colpisce in particolare la piana di Gioia Tauro ed a Messina causa un vasto incendio che miete molte vittime. Tra i paesi più danneggiati anche Casalnuovo (oggi Cittanuova) e Santa Cristina mentre a Terranuova e Molochio le principali distruzioni sono legate a frane e smottamenti sismoindotti. Numerose lesioni e vittime si registrano anche sul litorale tirrenico, da Palmi a Scilla. Da relazionarsi all’evento tellurico è lo sviluppo di uno tsunami che a Messina invade il porto ed i viali a mare mentre a Capo Peloro raggiunge i due piccoli laghi, distrugge parzialmente il faro e genera una forte erosione della spiaggia. Effetti delle onde anomale si registrano anche sul continente: a Reggio Calabria le acque invadono il litorale, a Scilla il livello marino si alza di circa due metri. Onde anomale fino a Nicotera e perfino nello Jonio, da Bianco a Roccella dove diverse barche vengono trascinate sulla terraferma ed il mare penetra nell’entroterra per diverse centinaia di metri. Circa 20mila persone perdono la vita per gli effetti combinati dei due fenomeni.
Nella notte seguente un’altro evento tellurico, di Magnitudo macrosismica 6.3, con epicentro sulla costa di Villa S. Giovanni, provoca ingenti danni a Messina e Scilla dove il paese, già duramente colpito dal precedente terremoto, è in gran parte distrutto, con i crolli delle chiese principali ed in parte pure del castello medievale mentre numerose frane si sono sviluppate nei valloni dei torrenti Oliveto e Livorno. Gli scillesi sopravvissuti alla catastrofe, circa duemila, cercano scampo sulla spiaggia di Marina Grande, sotto le barche rovesciate od in tende di fortuna. Ma le due scosse sismiche hanno generato l’instabilità dei versanti montuosi circostanti: un’altra grande frana, con un fronte di circa 500 metri ed un volume di alcuni milioni di metri cubi, si distacca dal Monte Pacì, il rilievo che chiude la baia di Scilla a Sud, rovinando precipitosamente in mare. In pochi istanti un’enorme ondata si abbatte proprio su Marina Grande, travolgendo i poveri scillesi che lì rifugiatisi si sentivano al sicuro. Il mare, misto a fango e sabbia, seppellisce ogni cosa, risalendo addirittura il vallone del torrente Livorno, con un’altezza (definita in gergo run-up) stimata in circa dieci metri: alcune testimonianze parlano di acqua fino ai tetti delle case. A Scilla muoiono almeno 1500 persone ed i cadaveri, spesso irriconoscibili, vengono rapidamente bruciati per evitare il diffondersi di epidemie. Alcune vittime sono ritrovate sui terrazzi o sui tetti degli edifici, altre sugli alberi: nei mesi successivi il mare restituirà corpi e detriti di ogni genere. Gli effetti dello tsunami si avvertono per un raggio di almeno 30 km lungo la costa tirrenica. A Cannitello, proprio laddove dovrebbe sorgere un pilone del ponte sullo Stretto, le acque penetrano per circa un km e mezzo all’interno del litorale; a Nicotera e Bagnara le spiagge sono completamente allagate, a Messina viene inondato il mercato del pesce, a Capo Peloro il mare penetra per almeno 500 metri così come a Reggio Calabria.
La mattina del 7 febbraio, appena due giorni dopo, si verifica un altro terremoto, con Magnitudo macrosismica 6.6 ed epicentro posizionato pochi km a sud-ovest di Soriano Calabro dove crolla il convento benedettino. Ingenti danni anche a Sorianello, Gerocarne, Pizzoni e S. Giorgio Morgeto. Il sisma colpisce soprattutto la zona delle Serre, radendo al suolo anche Acquaro. Ma la terribile sequenza sismica non è ancora conclusa: dopo vari aftershocks di Magnitudo limitata, il 1 marzo l’ennesimo evento sismico, stavolta con l’epicentro localizzato più a Nord, nei pressi di Filadelfia, con Magnitudo macrosismica pari a 5.7, produce gravi danni in alcuni villaggi montani come Poliolo e Mileto oltre che a Monteleone. Infine, il 28 marzo un ultimo forte terremoto, di Magnitudo macrosismica 6.9, si verifica nel bacino di Catanzaro, con epicentro nei pressi di Borgia, ancora più a Nord dei precedenti. I danni maggiori si registrano a Borgia, Maida, Girifalco e Cortale, con centinaia di morti. Numerose frane e fenomeni di liquefazione del terreno sono testimoniati nell’area circostante il fiume Lamato. Anomalie del livello marino vengono registrate sia nello Ionio che nel Tirreno mentre a Bagnara viene inondato il litorale.
Questo è l’ultimo evento importante della sequenza, caratterizzata alla fine da migliaia di scosse minori che andranno avanti per oltre un anno. Difficile stimare il numero totale delle vittime che, considerando anche le violente epidemie post-sisma, sembra oscillare tra 30mila e 50mila. Si calcola che il 7% della popolazione sia scomparsa a seguito della “crisi sismica calabrese” (come viene spesso ricordata). Migliaia sono le abitazioni distrutte, circa 200 i paesi devastati, con gran parte del patrimonio architettonico perduto. Tra le cittadine più devastate il primato spetta a Palmi, ricostruita interamente con nuovi criteri urbanistici, e Borrello che sarà totalmente abbandonata mentre Oppido Mamertina viene ricostruita in altro sito. Anche il paesaggio subisce trasformazioni importanti: si aprono fratture e voragini, le frane modificano la morfologia di molti versanti, diversi fiumi e torrenti deviano il loro corso a causa dell’apporto di grandi quantità di materiale terrigeno. Nelle zone pianeggianti tra Sinopoli e Seminara si originano nuovi laghi e paludi che incrementano il proliferarsi della malaria.
Fenomeni dunque disastrosi, ben documentati, che accertano quanto il rischio sismico sia alto in tutta la Calabria. Ma la storia continua…