Terremoto Rimini, il rischio sismico della Romagna: una storia costellata di sismi anche forti

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Il terremoto di magnitudo 4.2 che ieri ha colpito Rimini non sorprende chi conosce la storia e la geologia della zona adriatica. Lo schema di Figura 1 mostra la parte più esterna dell’Appennino (in marrone) ed i sistemi tettonici ad essa collegati.

Misure tramite stazioni permanenti GPS indicano chiaramente come questa parte esterna della catena appenninica (detta “adriatica”) si muova più rapidamente (3-5 mm/anno) della sua parte interna (1-2 mm/anno), ad una velocità praticamente doppia, con una direzione all’incirca verso Nord-Est. Questi movimenti risultano particolarmente elevati proprio nella zona di Rimini (Fig. 2). E’ noto come, continuando questo trend, tra svariati milioni di anni in un certo senso l’Adriatico tenderebbe a “chiudersi”, portando le coste italiane ad avvicinarsi a quelle slave. A questi movimenti possono essere associati terremoti, di varia intensità.

Fig. 1. Schema della parte più esterna della catena appenninica (in marrone scuro) con i blocchi tettonici in cui essa è suddivisa. MS: Molise-Sannio; LAE: porzione orientale della Piattaforma Laziale-Abruzzese; RMU: Unità Romagna-Marche-Umbria; TE: Tosco-Emiliano. Simboli tettonici come in Fig. 002. Aq: sistema di faglie dell’aquilano; AVT: Alta Val Tiberina; Be: Beneventano; Fo: Forlivese; Fu: sistema di faglie del Fucino; Ga: Garfagnana; Ir: Irpinia; LAO: settore occidentale Piattaforma Laziale-Abruzzese; Ma: Maiella; Mt: Matese; Mu: Mugello; PMR: Provincia Magmatica Romana; Rm: Riminese; SV: sistema Sangro-Volturno; Vu: Vulture (da Mantovani et alii, 2012)
Fig. 2 Velocità orizzontali misurate tramite stazioni GPS della porzione più esterna dell’Appennino (da Mantovani et alii, 2011)

Ma da cosa derivano le scosse nel riminese? Con la Romagna termina ad Est la Pianura Padana nel cui sottosuolo esistono strutture tettoniche in grado di generare terremoti. Si tratta di margini sepolti dell’orogene appenninico ovvero di elementi tettonici facenti parte a tutti gli effetti, dal punto di visto geologico, dell’Appennino vero e proprio. Questi margini, sepolti sotto le potentissime coperture sedimentarie quaternarie padane e adriatiche, prendono il nome di pieghe, differenziandosi per la posizione geografica e per il territorio sotto il quale si sviluppano (Fig. 3).

Fig. 3. Quadro geomorfologico-strutturale dell’Appennino settentrionale e Pianura Padana. In rosso i principali lineamenti tettonici e le “pieghe”. Le linee nere puntinate indicano i presunti lineamenti compressivi attivi (da Mantovani et alii, 2013)

L’intera Emilia-Romagna è solcata da questi sovrascorrimenti tettonici, associati a faglie e sedi preferenziali di terremoti, la cui mappatura piuttosto dettagliata è stata resa possibile anche dalle numerosi perforazioni legate all’attività di ricerca di idrocarburi. La loro ubicazione dunque è ben nota e perciò eventi sismici legati a questi sistemi non paiono sorprendenti (Fig. 4). L’intera area da Reggio Emilia all’Adriatico centrale può dunque essere sede di terremoti, come lo è stata nell’antichità e nel recente passato anche se storicamente sono rare Magnitudo prossime a 6.0.

Fig. 4. Sovrascorrimenti sepolti della Pianura Padana centro-orientale, riconosciuti in base all’interpretazione dei dati di sottosuolo. I lineamenti indicati costituiscono le cosiddette “pieghe” ferraresi, romagnole ed adriatiche, a seconda della loro posizione geografica. In blu è indicato il fronte di accavallamento delle cosiddette “Liguridi” sulla Pianura Padana. Alcune evidenze geologiche e geomorfologiche suggeriscono la recente riattivazione di questo fronte nella zona tra Reggio E. e Bologna (da Mantovani et alii, 2013)

Il primo evento importante nella zona di cui si ha notizia è datato 11 agosto 1483, con epicentro tra Cesena e Forlimpopoli, gravi danni a Forlì. Imprecisato il numero di vittime, possibile qualche decina. Segnalati crolli anche a Bertinoro. Magnitudo stimata 5.7. Più frequentemente comunque ad essere colpito è l’Appennino Tosco-Romagnolo come accade il 10 settembre 1584, con una scossa di Magnitudo 5.9, tra le più forti mai verificatisi nella zona, che colpisce in particolare l’alta valle del Savio e Bagno di Romagna, semidistrutto. Molti edifici lesionati anche a Santa Sofia e San Piero, con centinaia di morti, in particolare a Civitella, lo stesso paese colpito duramente nel 1661. Il 22 marzo di questo anno un terremoto di Magnitudo 5.8 si sviluppa con epicentro nei pressi di Galeata, semidistrutta come Pianetto, Santa Sofia, Rocca S. Casciano. Almeno 250 vittime e crolli segnalati anche in pianura fino a Forlì.

Interessante ciò che si sviluppa il 14 giugno 1672. Il sisma, connesso probabilmente alle pieghe adriatiche, stavolta ha epicentro in mare, poco a Sud di Rimini dove si registrano gravi danni e circa 200 morti. Sulla spiaggia riminese è segnalato un piccolo tsunami, con ingressione inferiore a 100 metri. Passano 16 anni e l’11 aprile 1688 tocca di nuovo alla pianura essere investita da una scossa, di Magnitudo 5.8, con epicentro nei pressi di Cotignola, semidistrutta. Gravi danni anche a Bagnacavallo e Russi, crolli minori e lesioni fino a Forlì e Cesena (Fig. 5). Santa Sofia è invece il centro appenninico che subisce i maggiori danni 80 anni dopo, il 19 ottobre 1768 quando un sisma di Magnitudo 5.8 provoca circa 150 morti. In una terribile alternanza tra Appennino e pianura, il 4 aprile 1781 è la volta di Faenza e Brisighella ad essere colpite con violenza. Pure Basiago (prossimo all’epicentro), Forlì, Cesena e Forlimpopoli vedono molti edifici seriamente lesionati in una sequenza sismica che durerà più di sei mesi.

Fig. 5. La mappa delle intensità raggiunte nel terremoto di Cotignola del 1688 (da www.emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/)

Poi ecco di nuovo a Rimini. Il giorno di Natale del 1786 un sisma di Magnitudo 5.7 crea distruzione, in particolare a Riccione dove rimane gravemente lesionato il castello degli Agolanti. Crolli di case e chiese, a Rimini come a Forlì e Cesena, per un evento chiaramente avvertito in tutta la Romagna. Una cinquantina le vittime. Ma è il 17 marzo 1875 che si registrano forse nella zona i danni più gravi, o almeno i più documentati (Fig. 6). Un sisma di Magnitudo 5.8, con epicentro a Nord di Rimini, avvenuto poco prima della mezzanotte, crea distruzione lungo tutta la costa, da Pesaro a Ravenna. A Rimini è seriamente danneggiato il Tempio Malatestiano e si registra un morto ma anche Cervia e Cesenatico subiscono danni piuttosto gravi. Si segnalano pure fenomeni di liquefazione, tipici dei terreni sabbiosi. Testimonianze asseriscono che l’evento sia stato percepito da Belluno a Roma. La scossa è seguita da un leggero tsunami che invade le spiagge di Rimini, Cervia e Cesenatico mentre nei porti di Ancona e Pesaro si verificano onde anomale e sensibili oscillazioni marine. Vengono i brividi a pensare cosa potrebbe accadere se un simile fenomeno si verificasse oggi, magari in piena estate, su quelle spiagge.

Fig. 6. La mappa delle intensità raggiunte nel terremoto di Rimini del 1875 (da www.emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/)

Ma non finisce qui perchè Rimini è nuovamente colpita nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale quando tutti gli occhi sono puntati sui fronti bellici. Si sviluppa uno sciame sismico di una certa rilevanza, che durerà circa sei mesi, con due scosse particolarmente importanti (fig. 7 e 8). La prima è del 17 maggio, ha Magnitudo 5.8 ed epicentro in mare. Crolli importanti si segnalano a Rimini, Riccione, Cattolica. A Rimini vengono conteggiati mille edifici lesionati. Danni ingenti anche a Santarcangelo e Savignano, pure nella valle del Metauro. Il 16 agosto un’altra forte scossa, con Magnitudo 5.9, tale da accentuare i danni precedenti, con epicentro di nuovo in mare ma più vicino alla costa. Ulteriori crolli a Rimini, Pesaro, Cattolica, Fano, Saltara. Una decina i morti totali della sequenza che terminerà a dicembre.

Fig. 7 e 8. La mappa delle intensità raggiunte nei terremoti di Rimini del 1916 (da www.emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/)
Fig. 7 e 8. La mappa delle intensità raggiunte nei terremoti di Rimini del 1916 (da www.emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/)

L’ultimo evento importante si verifica il 10 novembre 1918 e torna ad essere interessato l’Appennino, di nuovo Santa Sofia il paese più colpito. Danni importanti anche a Galeata, Bagno, Civitella, una ventina le vittime. Dunque tutta la Romagna, dalla pianura al mare, dai grandi centri ai paesi dell’Appennino, appare caratterizzata da una certa sismicità storica che potrà forse sorprendere i non addetti ai lavori, soprattutto considerando come se è notorio quanto la dorsale appenninica sia a rischio di forti terremoti, non è altrettanto diffuso tra i cittadini il pensiero che pure la costa riminese e perfino gli importanti centri della pianura (Forlì, Cesena, Faenza) possano subire gli effetti di sismi importanti. La presenza nel sottosuolo delle pieghe romagnole ed adriatiche (Fig. 4) spiega a dovere come l’intera area sia potenzialmente soggetta a rischi non indifferenti. Il territorio, ovviamente, non è più quello di qualche secolo fa e solo il futuro potrà dirci, forse, se è comunque in grado di resistere a scosse prossime a Magnitudo 6.0.

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