Tumori: cancro-trombosi legame rischioso, ma sopratutto sconosciuto ai pazienti

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“Frequente, potenzialmente fatale, ma spesso sconosciuta ai pazienti”. Il tromboembolismo venoso è per malati oncologici “la seconda causa di morte dopo la neoplasia stessa”. E’ la fotografia scattata dal ricerca MediPragma promossa da Daiichi Sankyo Italia, ‘Cancro e tromboembolismo venoso: il peso della convivenza sui pazienti’ e presentata oggi a Roma. Lo studio è stato realizzato in Italia con interviste ai pazienti oncologici in terapia eparinica per il tromboembolismo venoso (Tev). L’obiettivo “è comprendere, attraverso testimonianze dirette, l’impatto di questa condizione di comorbilità sulla vita quotidiana di chi ne è afflitto e le strategie per gestirla al meglio”.

“Le interviste – evidenzia l’indagine – delineano un impatto devastante sulla vita dei pazienti e dei loro familiari e caregiver, che ha un prezzo altissimo a livello psicologico, economico e sociale. L’insorgenza del tromboembolismo venoso in pazienti con tumore può comportare, infatti, l’allontanamento dal lavoro e l’isolamento sociale, e un conseguente peso sui familiari”. Studi su pazienti sopravvissuti al cancro hanno dimostrato “che circa un terzo di essi muore per malattia cardiovascolare – hanno sottolineano gli specialisti – Di tutti i casi di Tev il 20% si verifica proprio nel paziente oncologico, e ciò dipende da vari fattori quali il tipo di tumore, lo stadio e l’estensione del cancro, l’età, l’immobilizzazione, la chirurgia e alcuni trattamenti chemioterapici”.

“La correlazione tra queste patologie è ormai al centro dell’attività assistenziale e di ricerca dell’ematologia italiana, soprattutto da quando le nuove terapie hanno cronicizzato la maggior parte delle neoplasie ematologiche prima incurabili, rendendo particolarmente importante il ruolo delle alterazioni coagulative – specialmente la trombosi venosa e l’embolia polmonare- legate alle neoplasie stesse o alla loro terapia”, ha spiegato Sergio Siragusa, vice presidente Società italiana ematologia. Il rischio è maggiore nei primi mesi fino a due anni dopo la diagnosi – hanno ricordato gli specialisti – e il pericolo di recidiva persiste anche successivamente. Durante la chemioterapia il rischio di Tev è fino a 7 volte maggiore se paragonato ai pazienti senza cancro.

“Per tutte queste ragioni, la conoscenza da parte dei medici e dei pazienti delle problematiche legate al tromboembolismo venoso (Tev) è fondamentale – ha osservato Antonio Russo, ordinario di Oncologia medica dell’Università degli studi di Palermo – dal momento che queste sono molto correlate con il processo neoplastico poiché ne impattano il management e la prognosi”. Secondo gli esperti le linee guida Esmo sottolineano da diversi anni che il “Tev ha importanti risvolti sia sulla prognosi dei pazienti oncologici sia sulla loro qualità di vita eppure, nonostante sia una complicanza a volte devastante e potenzialmente fatale, gli stessi oncologi spesso sottostimano questo tipo di tossicità e di riflesso molti pazienti non seguono cure adeguate”.

A sottolineare la necessità di informare e sensibilizzare innanzitutto pazienti e caregiver e in secondo luogo istituzioni e operatori sanitari sui rischi di questa patologia correlata al cancro è stato Francesco De Lorenzo, presidente della Coalizione europea dei pazienti oncologici (Ecpc) e della Federazione italiana delle Associazioni di volontariato in Oncologia (Favo): “Il rischio di trombosi correlato al cancro è pressoché ignorato non soltanto dai malati italiani, ma anche da quelli di numerosi Paesi europei e a dimostrarlo chiaramente sono i risultati di un sondaggio europeo condotto da Ecpc sul livello di consapevolezza dei pazienti oncologici sui rischi della trombosi – suggerito De Lorenzo – il 72% dei pazienti intervistati ha rivelato di non essere consapevole di correre un maggiore rischio di Tev, e per il 28% di coloro che invece ne erano consapevoli, la conoscenza della patologia è avvenuta solo dopo averla sperimentata, ma il livello di comprensione delle implicazioni si è dimostrato comunque basso”.

Dalla ricerca ‘Cancro e tromboembolismo venoso: il peso della convivenza sui pazienti’, emerge che “l’impossibilità di essere autosufficienti e l’allettamento seppur temporaneo a causa del Tev faticano ad essere accettati dal paziente in quanto rappresentano inconsciamente una indiretta percezione di sconfitta nei confronti del tumore. Emerge dunque il bisogno insoddisfatto di coloro che sono afflitti da questa condizione – evidenzia la ricerca – un maggiore supporto da parte dei medici non solo nella preparazione di ciò che devono affrontare ma una vicinanza rassicurante e costante che risolva loro i dubbi sulla gestione pratica della terapia, come quelli relativi a sede, modalità e tempi di iniezioni dopo la comparsa degli ematomi”.

“Siamo particolarmente orgogliosi di presentare questa ricerca, soprattutto per la metodologia con cui è stata condotta, ovvero ascoltando direttamente la voce dei pazienti, che corrisponde a quello che è da sempre l’impegno di Daiichi Sankyo. I pazienti non sono numeri o statistiche e noi continuiamo ad ascoltare i bisogni insoddisfatti di coloro che soffrono di patologie, co-morbilità e condizioni per vari motivi trascurate, e a lavorare per offrire loro una risposta – spiega Massimo Grandi, amministratore delegato di Daiichi Sankyo Italia – E siamo felici di collaborare con le associazioni di pazienti come Favo al raggiungimento di questo traguardo, che però non deve restare un obiettivo dei singoli, che siano medici, aziende o associazioni, ma deve diventare uno scopo comune, con l’attuazione di sinergie tra istituzioni, professionisti sanitari con varie specializzazione mediche, e soprattutto con il coinvolgimento dei pazienti che devono restare al centro del nostro agire”.

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