Tra le fratture da fragilità ossea causate dall’osteoporosi grave, quella di femore è sicuramente la più temuta anche a causa delle possibili conseguenze a cui possono andare incontro i pazienti. Ma questo tipo di frattura, in costante aumento per il progressivo invecchiamento della popolazione, avvertono gli esperti, “non è casuale ma è indice di un cattivo stato di salute generale“. Conoscenza e prevenzione dei principali fattori di rischio, aderenza ad un corretto percorso diagnostico e terapeutico, che preveda riabilitazione, terapia farmacologica e controlli periodici, riduce drasticamente il rischio di ri-frattura, garantendo una migliore qualità di vita. Per questo è scaricabile online su www.stopallefratture.it un opuscolo con tutte le informazioni e i consigli degli esperti per gestire al meglio il periodo di recupero dopo la frattura del femore.
La fragilità dell’osso, che è la causa delle fratture – si legge in una nota – dipende spesso dall’osteoporosi severa che in Italia colpisce una donna su 4 con più di 50 anni e una donna su tre oltre i 60 anni. Questa patologia determina un indebolimento progressivo dello scheletro e quindi una ridotta resistenza dell’osso, predisponendo a un più alto rischio di frattura che avviene anche per traumi di lieve entità. Le fratture da fragilità correlate ad osteoporosi possono avvenire in qualsiasi segmento scheletrico, ma le sedi più frequentemente coinvolte sono il femore, le vertebre, il polso, l’omero prossimale, e la caviglia.
Nel 2017, solo in Italia, si sono verificate circa 560.000 fratture da fragilità con un costo per il Ssn pari a 9,4 miliardi di euro , numeri importanti destinati a crescere. La frattura più temuta rimane proprio quella del collo del femore che, in Italia, fa registrare almeno 100.000 casi all’anno nella popolazione anziana, con netta prevalenza nelle donne (8 casi su 10). Un’incidenza già molto elevata ma destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni, proprio per effetto dell’invecchiamento della popolazione.
“Le fratture da fragilità – spiega Giovanni Iolascon, ortopedico e fisiatra, professore di medicina fisica e riabilitativa all’Università della Campania-L. Vanvitelli – possono provocare disabilità, perdita di autonomia e un aumento del rischio di mortalità. Riguardo alle fratture di femore, va rilevata una leggera diminuzione nelle donne fino a 70 anni, dovuta a una maggiore propensione ad assumere terapie che contrastano l’osteoporosi, mentre il numero complessivo di fratture femorali negli anziani italiani (over 75 anni) è aumentato in media del 5.5% in 8 anni, dal 2007 al 2014, per un totale di 741.633 fratturati (568.203 donne e 173.430 uomini), con un incremento massimo registrato nel sesso maschile (+12.9% contro il 3.6% delle donne)“.
“La frattura di femore – spiega ancora l’esperto – è di per sé indice di un cattivo stato di salute generale del paziente e comporta importanti conseguenze: dal ricovero per l’intervento chirurgico, a prolungati periodi di immobilità, fino a diventare spesso causa di invalidità con perdita del tutto, o in parte, dell’autonomia funzionale. L’intervento chirurgico è indispensabile per una rapida ripresa della funzionalità dell’arto fratturato, ma non può essere considerato il solo e unico trattamento. Sappiamo che la vera responsabile della frattura è, infatti, la fragilità ossea causata dall’osteoporosi severa che, però, ancora troppo spesso viene diagnosticata solo in seguito alla frattura del femore, per questo è necessario che il paziente sia avviato verso un corretto percorso diagnostico/terapeutico/assistenziale (Pdta) per ridurre il rischio di nuove fratture e migliorare lo stato di salute e la qualità di vita“.
L’operazione al femore, che deve avvenire entro 48 ore dalla frattura per evitare complicazioni cardiocircolatorie o trombotiche, ha l’obiettivo di cercare di rimettere in piedi quanto prima il paziente e, per questo, anche la riabilitazione assume un’importanza centrale per cercare di ridurre al minimo le possibili complicanze legate all’intervento e per garantire al paziente di tornare a camminare. Basti pensare che entro un anno dalla frattura di femore, il 40% dei pazienti non è in grado di camminare autonomamente e più del 60% presenta limitazioni anche nelle più semplici attività quotidiane, quali mangiare, vestirsi e lavarsi. Inoltre, un paziente con frattura di femore ha il 20% di rischio di andare incontro alla frattura del femore controlaterale.
“Seguire un corretto percorso riabilitativo è dunque fondamentale – precisa Iolascon – e a secondo delle condizioni del singolo paziente esso può avvenire a domicilio o in strutture riabilitative specializzate. Idealmente, dopo l’intervento di femore, nei 5 o 6 giorni che si trascorrono in media nei reparti di ortopedia, dovrebbe seguire la messa in piedi precoce del paziente e, quindi, l’inizio della riabilitazione che noi esperti consigliamo avvenga in un ambiente familiare se lo stato di salute lo consente“.
Nonostante le Linee Guida e la Nota Aifa 79 raccomandino un adeguato trattamento farmacologico (bisfosfonati e supplementazione di calcio e vitamina D) per tutti i pazienti che abbiano subìto una frattura da fragilità – prosegue la nota – il 60-85% dei pazienti non lo riceve e solo il 50% segue le cure ad un anno dalla prescrizione.
‘Stop Alle Fratture’ è un’iniziativa educazionale, realizzata con il supporto non condizionante di Eli Lilly Italia, rivolta alla popolazione over 50 per informare sulle possibili conseguenze dovute alla fragilità scheletrica. L’iniziativa vede il coinvolgimento di società scientifiche quali Siommms, Siot, Sir, Ortomed, Gisoos e Gismo.
Osteoporosi: frattura del femore “spia” di cattivo stato di salute
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