“Le sbufale”, il caso dei veleni bianchi: bere latte è innaturale?

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“Le sbufale” è una rubrica di approfondimento dedicata alle fake news in campo alimentare, cosmetico e medico, analizzate dal punto di vista scientifico.
Per essere consumatori consapevoli è importante imparare a riconoscere le bufale e il modo in cui vengono sfruttate dal marketing (ad esempio attraverso la diffusione dei prodotti “senza”, come vedremo soprattutto nel campo della cosmetica). Queste disinformazioni registrano un ampio seguito grazie alla loro capacità di far leva sulle paure del consumatore, portandolo a spegnere la parte razionale del cervello e ad avere la reazione istintiva di proteggersi dalla sostanza definita “veleno”, senza verificare che la notizia sia vera.

Oggi, nel caso dei “veleni bianchi” (zuccherolattesalefarina), affronteremo le perplessità riguardanti il consumo di latte e smonteremo i luoghi comuni sul suo essere un alimento “innaturale” per l’uomo.

Quando è nata l’abitudine di bere latte animale?

Nel Neolitico, con la rivoluzione agricola.
Circa diecimila anni fa, quando i nostri antenati hanno creato i primi insediamenti, e l’uomo ha iniziato a dedicarsi ad agricoltura e allevamento, sembra sia nata l’usanza di bere il latte anche in età adulta.
Il vantaggio principale che gli storici credono abbia dato vita a questa abitudine, è quello della reperibilità: infatti il latte è un alimento nutriente e completo che, a differenza delle colture agricole, non subisce gli effetti degli eventi climatici e quindi si rende facilmente disponibile in qualsiasi periodo dell’anno.
In seguito a questa nuova introduzione nella dieta primitiva, in alcune popolazioni, si è verificata una mutazione genetica casuale del DNA, che ha fatto sì che gli esseri umani adulti continuassero a produrre la lattasi.

Cos’è la lattasi?

Modello 3D molecola di lattosio

È l’enzima che consente di digerire il latte.
Il latte, qualunque sia la sua provenienza, è composto dagli stessi quattro elementi: acqua, lattosio, grassi e proteine.
Il lattosio, il cosiddetto “zucchero del latte”, è una molecola composta dal legame di glucosio e galattosio.
La lattasi, che agisce nel nostro intestino, separa le due molecole che compongono il lattosio, rendendone così più facile la digestione.
Questo enzima viene prodotto naturalmente da tutti i mammiferi (uomo compreso) nei primissimi anni di vita. Dopo lo svezzamento, quando la dieta cambia e diviene varia, la produzione dell’enzima lattasi tende a diminuire fino quasi a scomparire.
A questo punto, negli adulti che non producono più l’enzima “lattasi”, il lattosio passa indisturbato attraverso l’intestino tenue e, una volta giunto a livello del crasso, viene aggredito dalla flora batterica che, nel metabolizzarlo, produce dei gas, mentre il lattosio presente, per effetto osmotico, richiama dell’acqua.
Questa combinazione di reazioni dà vita a tutti quei disturbi tipicamente attribuiti all’intolleranza (gonfiore, crampi, diarrea, ecc.).

Allora perché alcuni adulti possono berlo senza problemi?

Mappa distribuzione enzima lattasi

Grazie a una mutazione genetica, che ha dato vita al fenomeno detto “persistenza della lattasi”.
Come si evidenzia dallo studio Lactose digestion and the evolutionary genetics of lactase persistence, circa il 35% della popolazione mondiale non ha alcun problema nel consumo di latticini grazie allo sviluppo della “persistenza della lattasi”, che viene prodotta dall’organismo anche in età adulta; al contrario, in alcune zone come la Cina l’assenza di lattasi in età adulta è la tendenza prevalente, il che spiega come mai non si trovino facilmente preparazioni che contengano latte in quell’area geografica.
Tuttavia, questa mutazione, come spiega il chimico Dario Bressanini nel libro “Le bugie nel carrello”, non è stata causata dal consumo di latte.
La mutazione genetica è avvenuta in maniera del tutto casuale, ma si è poi diffusa velocemente nelle popolazioni dedite alla pastorizia, poiché costituiva un vantaggio evolutivo per chi la possedeva. Con il passare delle generazioni, infatti, è diventata dominante in alcune zone in virtù del fatto che chi poteva bere latte aveva più probabilità di sopravvivere (al contrario di chi non la possedeva) e, riproducendosi, trasmetteva la mutazione alle generazioni successive.

I latticini e le presunte malattie

Il latte si trova spesso al centro di polemiche poiché, per la sua ampia diffusione e l’elevata componente di nutrienti rispetto ad altri alimenti, può più facilmente dare origine ad allergie o intolleranze.
Accanto alle preoccupazioni legittime riguardo le intolleranze alimentari imputabili al latte, ha preso piede un’altra serie di allarmismi riguardo malattie come tumori, patologie cardiovascolari e, addirittura, autismo.

La presunta correlazione tra latticini e tumori in realtà non ha alcun fondamento scientifico, ma ha preso avvio da una tesi presente nel libro The China Study del nutrizionista americano C. T. Campbell.
In questo libro l’autore trae la sua conclusione basandosi sulla considerazione che i cinesi, minori consumatori di latte e proteine animali, hanno una minor incidenza di tumori degli occidentali e sugli studi condotti su topi di laboratorio.
In realtà l’esperimento che Campbell condusse era viziato da un errore di fondo, come spiegano gli esperti della Fondazione Umberto Veronesi nel loro approfondimento “Latte: sì o no. Cosa dice la scienza?”, che lo rende scientificamente inattendibile. Nessun altro studio mirato ha, fino ad ora, confermato che ci sia un collegamento tra il normale consumo di latticini e lo sviluppo di tumori.

Per quanto riguarda la correlazione tra il consumo di latticini e l’aumento del rischio cardiovascolare, tale tesi è stata avvalorata dal fatto che il latte, per la sua stessa costituzione, contiene colesterolo; tuttavia altri studi hanno trovato un ruolo positivo dei prodotti lattiero-caseari a basso contenuto di grassi nella riduzione del rischio cardiovascolare e di diabete.

Nel caso della correlazione tra latticini e autismo, sul banco degli imputati è finita la caseina, la principale proteina del latte, accusata di essere tossica e di causare l’insorgere di malattie dello spettro autistico.
La realtà è che fino ad oggi non esistono prove della relazione causale tra latte e autismo, mentre si pensa che la malattia abbia probabilmente origine durante la formazione del sistema nervoso centrale nel grembo materno.

In conclusione

In conclusione, bere latte animale non è affatto innaturale e il latte di un’altra specie animale non è nocivo per l’essere umano, ciò che cambia è come saranno distribuite le quattro componenti fondamentali dell’alimento, ma questa varietà gioca tutta a nostro vantaggio poiché ci consente di scegliere il prodotto migliore in base alle proprietà nutritive che vogliamo prediligere (il latte vaccino, ad esempio, è quello meno grasso).
Un occhio di riguardo, anche in questo caso, deve essere dato alle quantità complessive di latticini consumate. A tal proposito è intervenuta la Società Italiana Nutrizione Umana, che consiglia, nelle sue linee guida, il consumo di massimo di 3 porzioni giornaliere di latte (da 125 ml) o yogurt (da 125 gr.), alle quali vanno aggiunte da 2 a 3 porzioni settimanali di formaggio fresco (da 100 gr. ciascuna) o stagionato (da 50 gr. ciascuna).

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