“Le sbufale” è una rubrica di approfondimento dedicata alle fake news in campo alimentare, cosmetico e medico, analizzate dal punto di vista scientifico.
Per essere consumatori consapevoli è importante imparare a riconoscere le bufale e il modo in cui vengono sfruttate dal marketing (ad esempio attraverso la diffusione dei prodotti “senza”, come vedremo soprattutto nel campo della cosmetica). Queste disinformazioni registrano un ampio seguito grazie alla loro capacità di far leva sulle paure del consumatore, portandolo a spegnere la parte razionale del cervello e ad avere la reazione istintiva di proteggersi dalla sostanza definita “veleno”, senza verificare che la notizia sia vera.
In questo articolo tratteremo il caso dei “veleni bianchi” (zucchero, latte, sale, farina), partendo proprio dallo zucchero bianco e andando a sfatare le convinzioni più comuni tra i consumatori: è davvero meno pregiato e più nocivo dello zucchero bruno? Scopriamolo insieme.
“Lo zucchero bianco è un’invenzione moderna, quello integrale è antico”
Siamo intorno all’anno 1000 e le Repubbliche Marinare sono impegnate nelle crociate, quando i veneziani, durante una spedizione nei territori arabi, scoprono lo zucchero di canna e cominciano a importarlo in Italia.
Lo zucchero è stato immediatamente considerato una merce preziosa principalmente per via del suo colore bianco, che nella filosofia alimentare del tempo era sinonimo di equilibrio; infatti i cibi bianchi (come il biancomangiare, nella sua versione primitiva) venivano somministrati ai malati, con l’idea di ristabilire l’equilibro del corpo.
Alla sua scoperta, quindi, era conosciuto e consumato nella versione “raffinata”: chi fa leva sull’aggettivo “integrale” per dare l’idea di un prodotto nella sua forma originale, antica, sta facendo cattiva informazione o disconosce la storia di questo alimento.
“Lo zucchero bianco è raffinato, quello grezzo è naturale”
La prima informazione a mandarci fuori strada è che i termini “integrale” o “grezzo”, nel caso dello zucchero, siano sinonimo di “non lavorato”.
Non esiste in commercio uno zucchero “non lavorato”: se tagliassimo a metà una canna da zucchero, certamente non ne vedremmo uscire dei granelli pronti al consumo.
Ma la principale bufala è che il termine “raffinato” implichi un processo ai limiti della lavorazione petrolifera, su un prodotto destinato al consumo alimentare.
Nella realtà del caso, il termine “raffinazione” non vuol dire altro che “purificazione”: processo che rappresenta una grossa garanzia, tutta a vantaggio del consumatore finale, sia in termini di gusto che di sicurezza.
“Però è stato trattato con le sostanze chimiche per sbiancarlo”
Bufala! Il saccarosio è naturalmente di colore bianco.
I veneziani sono stati i primi a costruire le raffinerie, inizialmente accanto alle piantagioni di canna da zucchero in Libano e successivamente in Italia.
Come spiega Dario Bressanini, chimico e docente presso l’Università dell’Insubria, lo zucchero era purificato attraverso la tecnica della “cristallizzazione ripetuta”: lo zucchero veniva sciolto in acqua e portato a ebollizione; man mano che il prodotto si raffreddava, le molecole di saccarosio che compongono lo zucchero iniziavano ad aggregarsi tra di loro formando dei piccoli cristalli; la massacotta, costituita dai cristalli di saccarosio e la melassa (un residuo vegetale semiliquido di colore scuro), veniva poi inserita in coni con il vertice forato e rivolto verso il basso, e gli veniva versata sopra una piccola quantità di acqua in modo da aiutare la melassa a defluire via dal foro e lasciare uno zucchero un po’ più puro. Il processo veniva ripetuto fino a ottenere uno zucchero completamente bianco.
Negli zuccherifici, oggi, lo zucchero viene raffinato, o meglio purificato, attraverso un processo di centrifuga che separa più agevolmente la melassa dai cristalli di saccarosio.
“Quindi che differenza c’è tra i due tipi?”
Nessuna, a livello chimico e nutrizionale.
Lo zucchero è composto solo da cristalli di saccarosio e può essere estratto indifferentemente dalla canna da zucchero o dalla barbabietola, spiega ancora il Prof. Bressanini, poiché la molecola è chimicamente identica.
Il saccarosio, come abbiamo visto, è bianco, per cui non necessita di un processo di sbiancamento attraverso l’utilizzo di prodotti chimici.
Ciò che conferisce la colorazione scura alle diverse tipologie di zucchero in commercio è la melassa. Infatti, nel caso di zucchero integrale o grezzo, il residuo vegetale viene mantenuto, in fase di lavorazione, in percentuali variabili tra 1-5%. Questi livelli di concentrazione sono sufficienti a ottenere uno zucchero con diverse gradazioni di colore, ma rappresentano una quantità insufficiente a far sì che il corpo umano possa beneficiare degli elementi (calcio, potassio, etc.) in esso contenuti.
La melassa della canna da zucchero, che riveste i granelli di saccarosio, ha un sapore buono e aromatico, per questo troviamo in commercio zucchero di canna grezzo di diverse varietà.
La melassa della barbabietola, al contrario, ha un sapore sgradevole e viene totalmente eliminata in fase di purificazione.
In conclusione
Nel caso dello zucchero la verità sta nel mezzo: lo zucchero di canna grezzo non è più sano di quello bianco (ha solo un sapore più aromatico) e quest’ultimo non è assolutamente considerabile un veleno.
Tuttavia, è scientificamente provato che gli zuccheri aumentino il rischio dell’insorgenza di alcuni disturbi per la salute se assunti senza controllo.
A tal proposito, l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2015 ha stilato delle linee guida per regolare l’assunzione di zucchero da parte di adulti e bambini, nelle quali raccomanda che l’assunzione quotidiana di zuccheri non superi il 10% del fabbisogno calorico, ponendo così una soglia di 25gr. al giorno per un adulto, ma suggerisce una ulteriore riduzione al 5% dove possibile.
È bene controllare e ridurre il consumo di zuccheri, che oggi assumiamo anche attraverso alimenti insospettabili (es. alcuni tipi di pane in cassetta pronti al consumo), ma è impensabile demonizzare lo zucchero bianco in favore di quello scuro, attribuendogli proprietà salutistiche che in realtà non possiede.