Il giorno del solstizio d’inverno, che quest’anno cade il 21 dicembre, è la data in cui viviamo il giorno più breve e la notte più lunga dell’anno nell’emisfero settentrionale: ossia il momento in cui il Polo Nord è più distante per inclinazione dal sole. La parola “solstizio” deriva dal latino solstitium che significa “il sole si ferma”, e indica il momento in cui l’apparente movimento del percorso del sole sembra fermarsi brevemente. Ma non si verifica solo un giorno: in realtà, con il solstizio entriamo nei giorni più bui dell’inverno ma ci vorranno diversi giorni, fino alla mattina del 25 dicembre, per percepire che la luce diurna è più lunga di circa 1 minuto.
Questo evento è sempre stato visto come l’annullamento della presenza del sole nel cielo, il che ha fatto sì che venisse associato al concetto di nascita o rinascita. L’antico dio egizio Osiride, il dio Sol Invictus romano e il dio greco Apollo sono tra le molte entità divine solari la cui nascita veniva celebrata il 25 dicembre, molto prima della venuta di Cristo e della Cristianità. Sono serviti quasi 400 anni dopo la nascita di Gesù perché la data divenisse il giorno della sua nascita e non è una coincidenza.
Nella società agraria, il giorno del solstizio era utilizzato per segnare e guidare le attività, come l’uccisione degli animali, la semina e il controllo delle scorte di cibo invernali, tutte risorse vitali per assicurare la conservazione della vita umana. Era l’ultima celebrazione prima del profondo inverno e dei mesi di carestia, poiché da gennaio ad aprile le colture non erano pronte per il raccolto. Solo gli animali più forti potevano essere tenuti in inverno. Il resto veniva ucciso nel mese di novembre e la loro carne veniva conservata. Il vino prodotto alla fine dell’estate era fermentato ed era pronto da bere. Quindi per il giorno del solstizio d’inverno, c’era molto con cui banchettare e festeggiare.
Proteggere la vita più fragile finché non potesse rinascere dal sole rappresenta la base delle tradizioni di portare sempreverdi, ceppi di legno e alberi in casa. La gente credeva che lo spirito dell’estate, della vita e della crescita trovasse rifugio nei cespugli e negli alberi in inverno e che, tagliandoli e portandoli in casa, si offrisse loro riparo fino a primavera. Quando la Chiesa tentò di eradicare le pratiche precristiane, la decorazione delle chiese con sempreverdi fu strettamente vietata, ma fu tutto inutile. Gran parte delle pratiche più antiche erano così radicate nella psiche umana che agrifoglio ed edera furono consentiti in chiesa. E il canto tipico inglese “L’agrifoglio e l’edera” trae origine proprio da questo. Il ceppo di Natale era il ceppo o persino l’intero tronco di albero più grande che veniva portato in casa e fatto bruciare durante il 12° giorno delle celebrazioni del solstizio d’inverno in Scandinavia e Germania dal X secolo.
E anche la figura di Babbo Natale si è originata dalle foreste preistoriche del nord e si è evoluta nell’elfo Pelznickel, che i coloni tedeschi portarono con loro in America. Si amalgamò poi con il personaggio norvegese del dio Odino, che cavalcava un cavallo a 8 zampe nei cieli dell’inverno, e con San Nicola. Ecco come ora abbiamo l’omone vestito di rosso e dalla lunga barba bianca che consegna doni ai bambini a bordo di una slitta trainata da 8 renne.
Candele, lucine colorate e lanterne riflettono l’importanza del creare calore e luce e dell’incoraggiare il ritorno del sole. Il solstizio d’inverno è un evento che simboleggia proprio la rinascita e la continuazione della vita. La sua rilevanza non ha confini, religioni, credenze o pratiche. Molte delle sue tradizioni si sono intrecciate con le celebrazioni moderne del Natale, senza che molti di noi si rendessero conto delle loro origini. Mentre il Natale è sempre più inglobato dal consumismo, è tempo di riconnettersi con le sue origini autentiche, radicate nel mondo naturale. E il solstizio d’inverno offre la migliore occasione per farlo.