Trapianti, il ginecologo: “L’utero da un non vivente è una rivoluzione contro l’infertilità”

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Il fatto che questa gravidanza in Brasile “sia stata ottenuta mediante un trapianto da una donatrice non vivente è senz’altro un grande successo. La procreazione medicalmente assistita e la genetica hanno permesso di raggiungere traguardi impensabili fino a poco tempo fa, e adesso, con questa metodica, si può superare anche l’ultimo fattore ritenuto insormontabile: quello dell’infertilità assoluta del fattore uterino”.

Così Claudio Giorlandino, direttore generale dell’Italian College of Fetal Maternal Medicine, commenta la prima nascita avvenuta grazie a un trapianto di utero da donatrice deceduta, avvenuto a San Paolo, in Brasile, e reso noto su ‘Lancet’.

“La possibilità di trapiantare un utero da una donatrice a una donna è stata sperimentata ormai quattro anni fa – afferma l’esperto – Era il 2014 quando fu eseguita la prima dimostrazione da una donna vivente ad un’altra. Ma la strategia legata a un trapianto da donatore vivo è senz’altro più favorevole rispetto a quella da cadavere, perché la vascolarizzazione è più apprezzabile e i vasi uterini possono essere azionati in modo migliore per il trapianto. Le tecniche sono estremamente raffinate e in genere riservate solo a grandi esperti in chirurgia oncologica ginecologica”.

Il trapianto tra viventi “offre dunque maggiori possibilità di pianificazione dell’intervento – prosegue Giorlandino – e riduce anche il tempo di ischemia a freddo, che potenzialmente si traduce in un tasso di successo più alto. Il trapianto da una donatrice non vivente è dunque un grande successo. Questo approccio infatti rimuove i limiti legati a problemi etici, in conseguenza del rischio di doversi sottoporre a un intervento chirurgico piuttosto invasivo, e quelli legali”. “Va infatti considerato che la donatrice perde la sua potenzialità di generare subendo una menomazione permanente della sua capacità riproduttiva. Le due strategie” da donatrice vivente o cadavere, conclude l’esperto, “non si escludono a vicenda e, vista l’attuale scarsità di innesti uterini e il previsto aumento futuro della domanda, entrambi saranno probabilmente necessari”.

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