Messa a punto la prima mappa molecolare completa che traccia una carta d’identità dettagliata dei tumori cerebrali che colpiscono bambini e adulti affetti da una delle sindromi genetiche più frequenti, la Neurofibromatosi di tipo 1 (Nf1). A tracciarla è stato un consorzio internazionale di scienziati di 25 istituzioni di tutto il mondo, guidato dagli studiosi italiani Antonio Iavarone e Anna Lasorella. I due hanno lasciato l’Italia ormai da quasi vent’anni e insegnano alla Columbia University di New York. Il maxi studio che ha portato a scoprire il contenuto genetico, epigenetico e immunitario di queste neoplasie, i cui risultati sono pubblicati su ‘Nature Medicine‘, sarà il trampolino di lancio per nuove prospettive di terapie personalizzate. Inoltre favorirà maggiori risultati dell’immunoterapia, che ha funzionato in pazienti con melanoma, linfoma e altri tipi di cancro, ma contro “la maggior parte dei tumori cerebrali” si è “finora dimostrata inefficace“.
Si stima che uno su 3.000 nati sia affetto da Nf1 e che il 10-15% delle persone con questa sindrome si ammali di un tipo di tumore cerebrale chiamato glioma. I bambini sviluppano di solito forme a crescita lenta (di basso grado), spiegano gli esperti, mentre gli adulti hanno più spesso un tipo di glioma più aggressivo (di alto grado). Indipendentemente dalla velocità di crescita, queste neoplasie sono difficili da trattare. La maggior parte, precisano gli autori del lavoro, sono altamente resistenti alla chemioterapia e la radioterapia può aggravare i sintomi, invece che alleviarli. Poiché i tumori in genere interessano regioni cerebrali delicate, la chirurgia è spesso un’opzione impraticabile poiché rischia di generare danni irreparabili.
La mappa molecolare tracciata, commenta Iavarone, “ci darà un’idea molto migliore di come progettare trattamenti personalizzati, ma due risultati del nostro studio potrebbero avere ripercussioni cliniche immediate per i pazienti affetti dalla sindrome Nf1“. Il primo suggerisce, a seconda delle caratteristiche del tumore, chance con l’immunoterapia, forma di trattamento che agisce stimolando il sistema immunitario del paziente; l’altro identifica come possibile arma farmaci che danneggiano il Dna. Il motivo della resistenza della maggior parte dei tumori cerebrali alle terapie immunologiche viene attribuito alla presenza in questi tumori di infiltrati di cellule chiamate macrofagi, che creano un micro-ambiente che blocca l’attività del sistema immunitario contro il cancro.
Il nuovo studio ha rivelato che molti gliomi a crescita più lenta che insorgono in pazienti con Nf1 non contengono macrofagi e producono proteine, chiamate neoantigeni, che favoriscono la risposta immunitaria. “A parte la scarsa presenza di macrofagi – sottolinea Lasorella – un dato che ci ha sorpreso è che circa il 50% dei gliomi a crescita più lenta in pazienti Nf1 contenevano un numero molto alto di linfociti T, cellule in grado di riconoscere le cellule tumorali come estranee e distruggerle“. Questi tumori “altamente immunocompetenti” potrebbero dunque essere curati con terapie che rendono più efficace la risposta dei linfociti T contro le cellule tumorali. Studi clinici sono ora in fase di programmazione per determinare il beneficio di queste terapie nei pazienti con queste caratteristiche tumorali.
Prima di questo lavoro, ricordano gli esperti, si sapeva molto poco delle alterazioni molecolari presenti nelle neoplasie dei pazienti con Nf1, il che ha reso difficile l’adozione di terapie mirate. Lo studio di Iavarone e Lasorella ha ora anche delineato la mappa delle alterazioni molecolari dei tumori al cervello più aggressivi che insorgono in questi pazienti. Sebbene siano ricchi di macrofagi (sarebbero perciò resistenti all’immunoterapia), i ricercatori hanno scoperto che molti di questi gliomi di alto grado hanno la mutazione di un gene che potrebbe renderli più sensibili a terapie che funzionano creando un danno del Dna così massivo da non poter essere riparato e che ha come esito la morte cellulare. “Se trattiamo i gliomi maligni nei pazienti con Nf1 con agenti che danneggiano il Dna – dice Iavarone – potremmo indurre questo fenomeno, aumentare cioè le lesioni del Dna specificamente nelle cellule maligne a un livello incompatibile con la loro sopravvivenza e quindi arresteremo la crescita del tumore. Stiamo testando questa nuova ipotesi – annuncia – nei nostri laboratori della Columbia University“.