Non chiamateli cervelli in fuga. Anche perché nella lista compaiono diversi cognomi stranieri. Sono 40 ricercatori al top nel mondo con un dato in comune: sono stati ‘figli’ scientifici dell’Istituto europeo di oncologia fondato da Umberto Veronesi. Si sono formati nell’Irccs milanese a vari livelli (dottorandi, post doc, capi gruppo di ricerca).
Poi hanno continuato il loro viaggio che li ha portati fuori dai confini italiani e adesso sono dirigenti di gruppi o di istituti di ricerca importanti all’estero, dagli Usa a Singapore. Oggi si sono rivisti tutti insieme nel capoluogo lombardo dove, in vista delle celebrazioni nel 2019 dei 25 anni dell’Ieo (nato nel 1994), è stato convocato il primo Ieo Alumni Meeting, per disegnare insieme il futuro della ricerca sul cancro, con un orizzonte settato sui prossimi 5-10 anni, e individuare le 5 priorità su cui concentrarsi, le 5 sfide più urgenti.
Su tutti: sviluppare e spingere la ricerca di base – “mai così vicina alla clinica come in questi tempi, con un trasferimento dei risultati” al letto del paziente “sempre più rapido”, osservano Bruno Amati, direttore del dottorato di ricerca e di una Unità di ricerca Ieo, Piergiuseppe Pelicci, direttore della Ricerca Ieo, e Roberto Orecchia, direttore scientifico Ieo – e quindi lo studio dei meccanismi molecolari e cellulari della malattia; affrontare il nodo cruciale della resistenza ai farmaci, sia delle terapie molecolari che dell’immunoterapia, oltre che della chemio, e “anche in questo caso si torna alla ricerca di base”, osservano gli esperti.
Terza priorità potenziare la genomica, integrando le diverse tecnologie ‘omiche’ (proteomica, metabolomica, radiomica) e sfruttando armi come le biopsie liquide, perché “se falliamo – fa notare Pelicci – è perché non abbiamo capito qualcosa e quindi abbiamo bisogno di una descrizione sempre più precisa del tumore”, di una visione d’insieme dei meccanismi alla base dei tessuti sani e di quelli tumorali che permetta di identificare dove si può intervenire. Ancora: occorre accelerare il processo di scoperta di nuovi farmaci. E infine la medicina personalizzata, la sfida delle sfide, la possibilità di usare le caratteristiche di ogni paziente e del suo tumore per valutare il rischio di malattia, il percorso di prevenzione, l’accesso a terapie mirate.
Sono le linee emerse dal meeting di 2 giorni fra super scienziati. “Sono persone che hanno contribuito all’eccellenza scientifica di vari centri, alcuni di loro sono tornati e altri forse torneranno – precisa Amati – La forza di un Paese e del suo sistema di ricerca non è solo riuscire a portare indietro le persone, ma essere uno di quei posti in cui ci si forma. E’ uno dei punti di forza che abbiamo e che ci integra nella comunità scientifica internazionale.
Oggi l’Ieo può contare su una rete internazionale di talenti formati a un’unica scuola. Sono circa 200 gli studenti che hanno ottenuto un Phd in Ieo, italiani e non, e in 80 hanno lasciato l’Italia. Di questi, i 40 che sono qui oggi hanno raggiunto posizioni di leadership, che stanno permettendo loro di incidere sulle strategie di ricerca internazionali”. I tumori, sottolinea Kristian Helin, Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, “sono più intelligenti di quanto si pensasse. La resistenza alle terapie è uno dei punti fondamentali su cui dobbiamo concentrare gli sforzi”. Negli ultimi 3 anni “c’è stata un’esplosione di terapie contro i tumori”, aggiunge Pelicci.
“Abbiamo assistito in particolare al ‘rumoroso’ ingresso dell’immunoterapia” nella lotta al cancro. “Una sfida urgente è ora allargare il numero di pazienti che beneficiano” di quest’arma, “ancora troppo pochi”. Molto chiaro, aggiunge Jean-Cristophe Marine, Vib Centre for Cancer Biology di Lovanio (Belgio), “è il grande impatto della diagnosi precoce, su cui bisogna lavorare intensamente. La vicinanza della ricerca di base all’ospedale è cruciale e non è così comune in Europa, lo è più negli Usa. L’Ieo deve costruire valore su questa possibilità che lo caratterizza e che oggi è una necessità”.
“Un mix che dà frutti”, gli fa eco Giulio Draetta, Md Anderson Cancer Center di Houston (Texas, Usa), che insiste sul concetto di diagnosi precoce su “è necessario investire, pensando in particolare a tumori come quello all’ovaio o al pancreas. Si crea una situazione non particolarmente ideale quando trattiamo tumori avanzati perché sono eterogenei e spesso resistenti alle terapie fin dall’inizio”, osserva. “Ma integrando diversi approcci possiamo cercare di controllare e in alcuni casi curare la malattia”. Altri temi cruciali la prevenzione che permetterebbe di evitare una percentuale consistente di casi, e i survivor che vanno seguiti nel tempo.
Il genoma delle cellule cancerose diventa più instabile man mano che evolve”, spiega Francesca Ciccarelli, docente del King’s College London, a capo del Cancer Systems Biology Laboratory al Francis Crick Institute di Londra. Una delle sfide più importanti, sottolinea, “è capire quali sono le interazioni tra il genotipo del tumore (e quindi le mutazioni che intervengono nel tempo) e l’ambiente circostante.
Diventa infatti sempre più chiaro che l’efficacia o la resistenza a terapie come l’immunoterapia dipende proprio dall’interazione tra il tumore stesso e gli ‘infiltrati’ dell’ambiente sano delle cellule immunitarie dentro il tumore”. Ciccarelli è impegnata su questo fronte da anni ormai, da quando, trentenne, è approdata all’Istituto europeo di oncologia a metà del 2005. Abruzzese, ha studiato a Bologna e fatto il dottorato in Germania prima di approdare a Milano, e oggi lavora a Londra.
“Io mi occupavo di genomica comparativa, per capire come l’evoluzione cambia il genoma di diversi organismi – racconta – All’Ieo questo approccio, che allora stava esplodendo sull’onda di una rivoluzione tecnologica, l’ho applicato alla genomica del cancro per capire come il Dna delle cellule tumorali si modifica nel tempo per effetto dei diversi stadi della malattia e anche delle terapie. L’Ieo ha avuto la visione di scommettere su quello che allora era un campo pioneristico”. Oggi, spiegano i ricercatori, stiamo assistendo a un boom di applicazioni cliniche di tecnologie e concetti un tempo riservati alla ricerca di base: il sequenziamento di ampie porzioni di Dna, le scienze omiche, l’epigenetica, la citometria multiparametrica, concetti di immunologia e soprattutto la bioinformatica. Ma senza la conoscenza dei meccanismi di base, la clinica è meno efficace, assicurano.
“Abbiamo definito un obiettivo strategico e cinque priorità per raggiungerlo – incalza Pelicci – Siamo convinti che i prossimi progressi della lotta al cancro deriveranno dalla medicina di precisione, quindi i Cancer Center come Ieo devono trasformarsi in istituti di ‘Precision Medicine'”. La medicina di precisione, conclude Orecchia, “presuppone la capacità di capire l’impatto di tutte le componenti che influenzano la malattia, oltre a quelle molecolari. Per questo il ‘fil rouge’ del calendario di eventi per i nostri 25 anni sarà l’ascolto e la condivisione dei bisogni e le aspettative dei nostri pazienti. Il nostro patrimonio sono infatti le circa 850 mila persone transitate dall’Istituto” in un quarto di secolo.