L’ultima frontiera dell’ingegneria genetica, la terapia Car-T, prevede l’uso delle cellule del paziente ‘addestrate’ a riconoscere quelle tumorali, per combattere linfomi o leucemie. “Sono circa 750 i pazienti in Italia, giovani e adulti colpiti da leucemia diffusa a grandi cellule B e da linfoma follicolare, eleggibili per questo tipo di terapia, solo però in secondo linea e se non rispondono alle cure convenzionali. Tra pochi mesi anche l’Aifa, dopo l’Ema, dovrebbe dare il via libera. Realisticamente possiamo aspettarci un risposta di efficacia del 30-40%.
La terapia funziona, ma vanno ancora studiati bene e approfonditi gli aspetti di neurotossicità, le infezioni e la sindrome da rilascio citochinico”, spiega Paolo Corradini, presidente della Società italiana di ematologia, nel suo intervento via Skype al convegno al Senato dedicato all’evoluzione dell’ingegneria genetica in immunoncologia.
“Con l’immunoterapia e le terapie genetiche c’è stato un cambio di paradigma nella guerra ai tumori – ha affermato all’Adnkronos Salute Stefano Vella, direttore del Centro per la Salute globale dell’Istituto superiore di sanità – Abbiamo capito che il nostro ‘cane da guardia’, il sistema immunitario, può essere davvero fondamentale se viene rivitalizzato e attivato contro un bersaglio preciso”. “Gli studi ci dicono che i pazienti sopravvivono e – ha aggiunto Vella – ci sono altri target in arrivo per diverse patologie ematologiche, si sta allargando la platea per gli usi di questa terapia i cui impieghi sono numerosissimi. Potrebbe essere sviluppata la Car-T dei tumori solidi, basata sullo stesso meccanismo”.
La terapia cellulare Car-T (Chimeric Antigen Receptor-T Cell generation) prevede che i linfociti, ossia i globuli bianchi che difendono dalle infezioni e dai tumori, vengano prelevati dal paziente e mandati in centri specializzati, attualmente presenti negli Stati Uniti, dove vengono modificati geneticamente tramite vettori virali.
“Questi linfociti T appartenenti a un paziente con una neoplasia, sono cellule diventate incapaci di agire contro la neoplasia stessa – ha spiegato Corradini, direttore della Divisione di ematologia della Fondazione Irccs-Istituto nazionale dei tumori e professore di Ematologia dell’Università degli studi di Milano – Per ripristinare la loro capacità di reagire contro la neoplasia, i linfociti vengono reingegnerizzati geneticamente, in modo tale che possano esprimere sulla loro superficie un cosiddetto ‘recettore chimerico’.
Si tratta di una molecola di riconoscimento per individuare nel paziente le cellule malate, si possono legare a loro e ricevono un segnale di attivazione per distruggere la cellula dannosa. Questa terapia consente così di eliminare la cellula tumorale”. Secondo un recente studio, ‘National coverage analysis of Car-T therapies – policy, evidence and payment’, illustrato nella suo intervento da Americo Cicchetti, direttore dell’Alta scuola di economia e management dei Sistemi sanitari dell’università Cattolica del Sacro Cuore, i costi delle due terapie finora approvate in Ue arriva a 400 mila dollari a paziente.
Per Cicchetti occorre “implementare queste nuove terapie personalizzate, che non hanno la possibilità di godere delle economie di scala dei farmaci non specifici che conosciamo oggi e che per essere disponibili hanno affrontato ingenti costi di anni di ricerca e sviluppo, significa non solo, per la prima volta, offrire la possibilità di guarigione, ma anche ridurre, se non eliminare gli sprechi”.