Identificata una molecola che ostacola l’efficacia delle terapie per la cura dei tumori. È questo il risultato di una recente ricerca condotta da un team dell’università di Verona coordinato dall’immunologo Vicenzo Bronte docente del dipartimento di Medicina diretto da Oliviero Olivieri. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications, apre nuove frontiere nella lotta al cancro e conferma l’eccellenza del centro scaligero nell’ambito dell’immunoterapia a livello internazionale.
Il professor Bronte è, infatti, uno dei massimi esperti nel campo dell’immunologia, tra i tre immunologi che lavorano in Italia con il più alto numero di citazioni scientifiche al mondo, secondo Highly cited reserchers e vanta numerose collaborazioni internazionali, tra le quali quella con James P. Allison, pioniere dell’immunoterapia oncologica e Premio Nobel per la Medicina 2018.
“Abbiamo identificato un possibile bersaglio molecolare per sviluppare nuove terapie – spiega Vincenzo Bronte – in grado di limitare l’attività delle cellule immunosoppressive che giocano un ruolo chiave nel limitare l’efficacia terapeutica nei pazienti oncologici, non solo dell’immunoterapia ma anche dei trattamenti convenzionali quali la chemioterapia. La possibilità di poter quantificare e monitorare lo stato immunosoppressivo del paziente valutando la frequenza di questa popolazione nel sangue periferico permetterà, nel prossimo futuro, di arruolare selettivamente i pazienti per una terapia personalizzata e, quindi, più efficace”. Lo studio ha, infatti, rivelato il ruolo inaspettato della proteina c-FLIP che normalmente controlla il ciclo cellulare prevenendo la morte programmata delle cellule a seguito di danno. In situazioni patologiche, quali la progressione del tumore, si assiste ad una anormale espressione di questa proteina nelle cellule mieloidi monocitarie. In queste cellule c-FLIP promuove l’acquisizione di funzioni immuno-inibitorie. I monociti FLIP positivi, infatti, impediscono la proliferazione degli effettori immuni, quali i linfociti T, limitando gli effetti positivi dell’immunoterapia. Lo studio ha anche rivelato come la quantificazione dei monociti c-FLIP positivi sia un parametro importante in grado di predire l’aggressività del tumore pancreatico.
Alla ricerca hanno contribuito Alessandra Fiore, oggi ricercatrice al Max Planck Institute di Monaco di Baviera come vincitrice della borsa Airc per l’estero 2017, Stefano Ugel, primi autori dello studio, Francesco De Sanctis, Sara Sandri, Rosalinda Trovato, Giulio Fracasso e Silvia Sartoris.
Lo studio ha richiesto un’intensa attività di collaborazione scientifica con gruppi di ricerca sia dell’ateneo scaligero, quali il laboratorio di Ricerca oncologica e il centro di ricerca applicata Arc-Net, che di altri atenei italiani quali l’università di Padova, l’università di Perugia, l’università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara e l’università di Modena e Reggio Emilia. Allo studio hanno partecipato anche tre gruppi internazionali guidati da Peter Murray, luminare della fisiologia dei macrofagi del Max Planck Institute in Germania, Bruce Blazar dell’università del Minnesota degli Stati Uniti d’America, uno dei massimi esperti della patologia “Graft-versus host disease” ovvero dell’immunopatologia indotta da trapianto, e Ugur Sahin, esperto della riprogrammazione genica delle cellule del sistema immunitario in collaborazione con Fulvia Vascotto della Tron-Translation, azienda tedesca all’avanguardia per l’immunoterapia anti-tumore.
Il team scaligero ha di recente ottenuto un brevetto europeo per la generazione di monociti immunosoppressivi per il trattamento di patologie autoimmuni e rigetto di trapianti i cui inventori sono Alessandra Fiore, Stefano Ugel, Ugur Sahin, e Vincenzo Bronte.