“Due sono in particolare le eruzioni sulle quali ci stiamo concentrando negli studi di cui una è quella risalente al 79 d.C. che stiamo studiando con grande dettaglio all’interno di Pompei, grazie alla convenzione con la Soprintendenza che ci permette di seguire le nuove fasi di scavo e l’Ignimbrite Campana, la più grande eruzione dei Campi Flegrei che stiamo studiando da anni con grande dettaglio. Si tratta della più grande eruzione avvenuta nel Mediterraneo e quindi è un’eruzione che bisogna conoscere in grande dettaglio. Per entrambe ci sono già risultati importanti che ci dicono ad esempio che a Pompei ci sono state varie fasi eruttive che hanno avuto impatti diversi sulla città. C’è stata una prima fase della caduta durante la quale si sono accumulate pomici sui tetti che hanno determinato crolli e dunque morti all’interno delle case, mentre invece una seconda fase ha visto correnti piroclastiche che hanno determinato vittime sia all’interno che all’esterno della casa. Nessuno è sopravvissuto alla seconda fase dell’eruzione. I vulcanologi studiano le eruzioni passate per cercare di calibrare anche possibili interventi futuri”. Lo ha affermato Claudio Scarpati, vulcanologo della Federico II di Napoli. Tali stidi sono stati illustrati anche durante la Conferenza Internazionale Resilience and Sustainability of Cities in Hazardous Environments – Resilienza e sostenibilità delle città in ambienti pericolosi” organizzata dalla Global Volcanic and Environmental Systems Simulation. Molti anche gli studi internazionali illustrati a testimonianza della vivacità della ricerca campana ma anche della necessità di avere territori resilienti e sostenibili.
“Nell’ambito di un progetto europeo, il nostro gruppo di ricerca dell’Università Federico II di Napoli, ha analizzato il comportamento delle coperture degli edifici sia pubblici che privati in area vesuviana nei riguardi di una possibile eruzione del Vesuvio e di quelli che possono essere i suoi prodotti come cenere e lapilli che si vanno a depositare sulle superfici in particolar modo su quelle orizzontali (piane). Abbiamo analizzato una serie di coperture, fatte con diversi materiali come in cemento armato, in legno, in muratura ed abbiamo visto che nella maggior parte dei casi il peso e soprattutto la temperatura di questo materiale di deposito da caduta che può arrivare anche a 400 gradi – ha affermato Antonio Formisano, ingegnere, ricercatore e docente di Tecnica delle Costruzioni dell’Università Federico II di Napoli – non può essere sopportata dalle coperture esistenti. Abbiamo realizzato un sistema di protezione fatto in acciaio, semplice ed economico che con sistemi di isolamento, condente alla copertura dell’edificio da un lato di sopportare il carico delle ceneri e dei lapilli e dall’altro a reagire bene anche all’incremento di temperatura. In questo modo si riusciranno a conciliare le esigenze di resilienza e di sostenibilità che tanto cerchiamo per i nostri edifici soprattutto in area vesuviana. Il sistema consentirebbe di portare avanti il tema della conservazione del costruito ma anche di far ripartire un indotto, attualmente fermo quale quello dell’edilizia”.
In Brasile il Governo ha chiamato i professionisti per formare un gruppo
“Negli ultimi 100 anni la temperatura è aumentata di 1 – 2 gradi.Nella sola città di San Paolo negli ultimi decenni abbiamo registrato un aumento del 20% di alluvioni. L’effetto di tali cambiamenti è che in alcune zone del Brasile stiamo avendo inondazioni mentre in altre c’è siccità. Stiamo studiando la temperatura del sottosuolo – ha dichiarato la ricercatrice brasiliana, Andrea YoungdelBrazilian National Center for Monitoring and Early Warning of Environmental Disasters, São Jose dos Campos Brazil – ma anche quella in atmosfera. Il Governo brasiliano sta avendo un approccio ben preciso per cercare di creare territori resilienti e sostenibili creando dei gruppi di lavoro multidisciplinari”.
“La resilienza nelle politiche del governo è essenziale,” ha dichiarato Alessandro Attolico, Direttore Esecutivo dei Servizi Territoriali e Ambientali della Provinia di Potenza. “La nostra idea di resilienza è mettere insieme sicurezza territoriale, sviluppo sostenibile e cambiamento climatico per ottenere una governance migliore con cambiamenti comportamentali e l’incentivazione a la realizzazione di cooperazione e senso di responsabilità”.
“In India abbiamo analizzato e messo a confronto ben 10 città esposte ai terremoti e cambiamenti climatici – ha affermato Rohit Magodra, importante ricercatore indiano, Direttore della Ricerca Internazionale sui Cambiamenti Climatici – per la resilienza e la sostenibilità”. Magodra sta conducendo importanti studi ad esempio anche su Nuova Delhi, al fine di dare l’opportunità alle istituzioni di realizzare le azioni necessarie per avere territori sostenibili e resilienti. Nei giorni scorsi l’importante ricercatore, di fama internazionale ha partecipato alla Conferenza Internazionale “Resilience and Sustainability of Cities in Hazardous Environments – Resilienza e sostenibilità delle città in ambienti pericolosi”, svoltasi a Napoli.
Dunque per i cambiamenti climatici, per i rischi vulcanici ma anche per fronteggiare anche altri tipi di rischi e trasformarli in opportunità, occorre oggi pensare a città che siano resilienti e sostenibili. Flavio Dobran, ingegnere termo – fluidodinamico che da anni sta studiando Vesuvio e Campi Flegrei, ha proposto con chiarezza ben 5 azioni che a suo dire andrebbero applicate per avere territori resilienti e sostenibili nel vesuviano, nel napoletano e nell’area flegrea. Tali 5 azioni sono racchiuse in un unico documento che si chiama: “Pentalogo” (VESUVIUS-CAMPIFLEGREI PENTALOGUE). Tutti i dettagli sono su www.gvess.org
“Il Governo italiano – ha affermato Dobran – dovrebbe prevedere l’obbligo in tutte le scuole di un Programma sull’Educazione al Rischio Vulcanico e sulla Sicurezza. Ridefinire le zone pericolose intorno al Somma – Vesuvio e Campi Flegrei stabilendo un’area di esclusione nella quale assolutamente non può esserci alcun insediamento abitativo, un’area di resilienza ed un’area di sostenibilità che potrebbe ospitare almeno in parte i cittadini residenti nell’area resiliente. Verificare la vulnerabilità delle abitazioni dei sistemi infrastrutturali, del patrimonio culturale sia dell’area napoletana, vesuviana e flegrea e produrre nuove norme nelle costruzioni dell’ambiente costruito nell’area di resilienza e nell’area di sostenibilità. Rivedere i piani di evacuazione che dovrebbero basarsi sullo scenario massimo per il Vesuvio e sullo scenario massimo per i Campi Flegrei. Infine informazione alla popolazione con l’accesso diretto a tutte le notizie riguardanti la prevenzione e collaborazione tra comunità scientifica italiana, straniera ed istituzioni locali”.