La correlazione tra alimentazione e salute del corpo oggi è ben nota e oggetto di ricerca costante. Ad esempio, già a partire dal secolo scorso si è studiata la correlazione tra una dieta ad alto contenuto di sale e lo sviluppo di ipertensione, che a sua volta presenta un grosso fattore di rischio per una serie di disturbi, tra cui malattie cardiache e ictus.
Tuttavia, negli ultimi dieci anni, gli studi condotti sulla popolazione hanno dimostrato che l’associazione tra il consumo di sale e l’insorgenza di un ictus avviene indipendentemente dalla presenza di una sindrome ipertensiva, suggerendo così un collegamento diretto tra l’abuso di sale e la salute del cervello.
Questa scoperta ha portato allo sviluppo di un crescente lavoro di ricerca volto a dimostrare l’esistenza di una connessione tra l’apparato gastrointestinale e il cervello, ora comunemente soprannominato asse intestino-cervello.
Uno squilibrio nell’asse, infatti, sembra contribuire allo sviluppo di una vasta gamma di malattie, tra cui il morbo di Parkinson e la sindrome dell’intestino irritabile.
A partire dal 2013 gli scienziati hanno ipotizzato che intestino e cervello comunicassero attraverso la segnalazione immunitaria, quando lo studio condotto su alcuni soggetti che assumevano grosse quantità di sale ha dimostrato un aumento della vulnerabilità all’autoimmunità cerebrale, condizione che porta il sistema immunitario ad attaccare per errore i propri tessuti sani.
Ma una nuova ricerca pubblicata su Nature mostra oggi un’altra importante connessione: sembra che i segnali immunitari inviati dall’intestino possano compromettere i vasi sanguigni del cervello, portando a un deterioramento cognitivo e della salute cerebrale, indipendentemente dal suo effetto sulla pressione sanguigna. Ciò significa che anche persone che non soffrono di ipertensione rischiano di avere un ictus, che ad oggi è la seconda causa di morte nel mondo, e altre disfunzioni cognitive.
Nel recente studio, i test effettuati sui topi hanno evidenziato che le risposte immunitarie nell’intestino tenue innescano una cascata di risposte chimiche che raggiungono i vasi sanguigni del cervello, riducendo il flusso sanguigno alla corteccia e all’ippocampo, due regioni cerebrali cruciali per l’apprendimento e la memoria. Questo, a sua volta, ha portato a un calo nei test delle prestazioni cognitive.
La compromissione dell’apprendimento e della memoria si è presentato anche in assenza di pressione alta; è stato osservato che l’intestino reagiva al sovraccarico di sale ed emetteva i segnali immunitari che gettano le basi per il deterioramento in tutto il complesso vascolare vitale del cervello e compromettono la funzione cognitiva.
Quando i topi sono tornati ad una dieta normale, gli effetti nocivi sulla salute causati dall’assunzione eccessiva di sale sono spariti. Anche un intervento farmacologico atto a interrompere i segnali immunitari ha mostrato la capacità di invertire gli effetti.
Le implicazioni di questa nuova connessione intestino-cervello possono essere potenzialmente estese a diverse patologie autoimmuni, tra cui la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, la psoriasi e la sindrome dell’intestino irritabile, che hanno dimostrato di attivare la stessa via di segnalazione immunitaria analizzata nello studio.
Questa ricerca è anche una dimostrazione di come ciò che mangiamo influisce sul modo in cui pensiamo e motiva la ricerca sui fattori di stress a cui sottoponiamo quotidianamente il nostro sistema digestivo, che possono influire sulla salute del cervello.
Quando nell’ottocento il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach disse per la prima volta che “L’uomo è ciò che mangia”, non poteva certo immaginare che la sua visione filosofica sarebbe stata ripresa e confermata dalla scienza futura.