Un team di ricercatori ha osservato per la prima volta un fenomeno previsto molti decenni fa da teorie cosmologiche: è stato osservato in laboratorio grazie a un campione di elio portato a bassissime temperature, e la sua esistenza può aiutarci a spiegare in che modo si raffredda l’Universo dopo il Big Bang. I risultati sono stati pubblicati sull’ultimo numero di Nature Communications.
L’elio sulla Terra rimane liquido anche quando lo si raffredda a temperature prossime allo zero assoluto. Non solo, portandolo a temperature abbastanza basse si comporta come un superfluido, ovvero un materiale con una viscosità sostanzialmente nulla. Prendendo un campione di elio-3, confinandolo in spazi nanometrici e portandolo a temperature criogeniche, possiamo studiare un superfluido il cui comportamento è governato dalle regole della fisica quantistica.
«Inizialmente pensavamo che le strutture a vortice sarebbero sparite abbassando la temperatura», spiega Jere Mäkinen, primo autore dell’articolo e dottorando all’Università di Aalto. «Abbiamo scoperto invece che questi vortici sopravvivono anche quando il campione di elio-3 scende sotto al valore di mezzo millikelvin, e appaiono dei muri non-topologici». Sebbene non si tratti di pareti fisiche, che potrebbero bloccare il flusso di elio, i muri non-topologici alterano le proprietà magnetiche del campione. I ricercatori sono stati in grado di rilevare i cambiamenti dell’elio utilizzando la risonanza magnetica nucleare.
Secondo alcuni cosmologi, quando l’Universo aveva pochi istanti di vita avrebbe attraversato transizioni di fase in grado di rompere le simmetrie, come un superfluido raffreddato all’interno di un volume nanometrico. Secondo la teoria, le fluttuazioni quantistiche dell’Universo primordiale si sono congelate mentre il cosmo si espandeva e con il tempo sono diventate le galassie che vediamo oggi, inclusa quella in cui viviamo. Riuscire a creare questi oggetti in laboratorio può permetterci di capire di più su come il nostro Universo si è formato e perché lo ha fatto nel modo in cui si mostra a noi.
Un ulteriore vantaggio di questo studio è che fornisce modelli potenzialmente utili per il calcolo quantistico topologico. «Se da un lato l’elio-3 sarebbe troppo costoso e difficile da mantenere come materiale per un computer funzionante, dall’altro ci offre un modello funzionante per studiare i fenomeni che potrebbero essere usati in futuro con materiali più accessibili», dice Mäkinen.