I mandarini, i cachi, le banane, l’uva: questi sono solo alcuni dei frutti che da sempre vengono quasi vietati a chi ha problemi di glicemia alta e a chi soffre di diabete. In realtà, però, si tratta di una vecchia concezione dell’alimentazione per chi ha picchi glicemici importanti. Gli studi degli ultimi anni hanno permesso di fare numerosi progressi in tal senso e di scoprire che in realtà questi tipi di frutta non sono da evitare. “C’è una netta differenza tra indice glicemico e carico glicemico – spiega ai microfoni di MeteoWeb il nutrizionista Vincenzo Liguori -. Tutta la frutta ha un indice glicemico alto perché contiene zuccheri semplici, che sono quelli più facili da assorbire. Quindi è vero, che alzano la glicemia ma solo per un breve periodo di tempo: dopo qualche minuto i livelli di glucosio nel sangue tornano nella norma. Il problema si pone con tutti quegli alimenti in cui il carico glicemico è elevato. Il riso, ad esempio, che ha un carico glicemico molto alto, fa sì che la glicemia permanga alta per molto tempo. Frutti come il mandarino, invece, fanno salire solo l’indice glicemico, che si abbassa in poco tempo” spiega il dott. Liguori.
“Nel caso di pasta e riso – continua ancora l’esperto – si parla di carico glicemico, che sale e permane alto. Si tratta, nello specifico, della quantità effettiva di glucosio che un alimento può rilasciare. Permanendo per lungo tempo la glicemia alta, si creano problemi dovuti a tutte quelle sostanze pericolose che ne derivano, come ad esempio l’emoglobina glicata. Quindi – precisa il nutrizionista – è vero che la frutta è glicemica, ma si può mangiare, soprattutto se viene consumata lontana dai pasti principali”.
“E’ chiaro che è necessario stare attenti alle quantità: perché immettendo troppi zuccheri nel circolo ematico si rischia un picco glicemico importante, ma se ne mangio uno o due alla volta, anche mangiandone sei al giorno, non avrò conseguenze sull’organismo“. Infine, un’altro elemento importante da tenere in considerazione sono le fibre contenute nella frutta, le quali, conclude Liguori, “trattengono il rilascio degli zuccheri, a differenza dello zucchero utilizzato in cucina, che non contiene fibre e dunque va ad intaccare in maniera importante il carico glicemico“.