Con una luce emessa pari a 500 mila miliardi di volte maggiore di quella del nostro Sole, è il più brillante oggetto celeste mai osservato all’epoca in cui l’universo aveva meno di un miliardo di anni e le prime galassie si stavano formando. Il suo nome, o meglio la sua sigla, è J043947.08+163415.7. Si tratta di un quasar, ovvero il nucleo di una lontanissima galassia dove risiede un buco nero intento ad ingurgitare la materia ad esso circostante. A scoprire questo potentissimo “faro cosmico” è stato un team internazionale di ricercatori guidato da Xiaohui Fan dell’Università dell’Arizona a Tucson e a cui ha partecipato anche Marco Bonaglia, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Firenze, grazie alle riprese del Telescopio Spaziale Hubble e a una serie di osservazioni con telescopi da Terra, tra cui il Large Binocular Telescope in Arizona, di cui l’INAF è uno dei partner.
Il quasar è assai distante da noi. Si trova infatti a 12,8 miliardi di anni luce, ma la sua luce è stata captata dai nostri telescopi grazie a una galassia posta esattamente tra noi e il remoto oggetto celeste che ha svolto il ruolo di una lente naturale, concentrando con la sua massa la radiazione emessa dal quasar e amplificandone l’intensità di circa 50 volte. Questo fenomeno, predetto dalla Teoria della Relatività di Albert Einstein, prende il nome di lente gravitazionale. “Abbiamo finalmente scoperto quello che stavamo cercando da molto tempo” dice Fan. “Non ci aspettiamo di trovare molti altri oggetti più brillanti di questo in tutto l’universo osservabile!”
La sterminata quantità di radiazione emessa dal quasar, paragonabile a quella di 500 mila miliardi di stelle come il nostro Sole, è prodotta da un buco nero supermassiccio che risiede nel cuore della galassia ospite, a quell’epoca ancora in formazione, e che stava “ingoiando” enormi quantità di materia, attirata dalla sua intensa forza gravitazionale.
Oltre la sua luminosità nella luce visibile e infrarossa, il quasar è assai brillante alle lunghezze d’onda submillimetriche, nelle quali è stato osservato dal telescopio James Clerk Maxwell sul Mauna Kea, alle Isole Hawaii. Questo tipo di emissione è dovuta all’intensa attività di formazione stellare presente nella galassia ospite, stimata in circa 10 mila nuove stelle ogni anno. Per confronto, nella Via Lattea, la nostra galassia, ogni anno si accende in media solo una nuova stella.
“Nel marzo del 2018 abbiamo osservato con il telescopio LBT il quasar J0439+1634 utilizzando lo strumento LUCI abbinato al sistema di ottica adattiva ARGOS” racconta Bonaglia. “Successivamente, analizzando i dati, abbiamo notato che l’immagine del quasar può essere risolta mostrando due altri oggetti nelle vicinanze dell’oggetto principale. Questa scoperta non era stata possibile nelle precedenti osservazioni perché avevano una risoluzione limitata dalle condizioni di seeing atmosferico. Il sistema di ottica adattiva ARGOS, realizzato da un consorzio di cui INAF fa parte tramite il gruppo di Ottiche Adattive dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, permette invece di compensare la turbolenza atmosferica presente nelle riprese di LBT, migliorando la risoluzione dello strumento LUCI. I dati di alta qualità che abbiamo ottenuto con LBT sono stati fondamentali per avvalorare l’ipotesi che la luce del quasar fosse affetta da lensing gravitazionale, cosa che è stata definitivamente confermata dalle osservazioni effettuate grazie al telescopio spaziale Hubble nell’aprile del 2018”.
La scoperta è stata pubblicata sulla rivista The Astrophysical Journal Letters nell’articolo The Discovery of a Gravitationally Lensed Quasar at z=6.51 di Xiaohui Fan et al.