Astrofisica: Chandra a caccia della materia “mancante” nell’Universo

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Dove si nasconde la massa mancante dell’Universo? Un team del Center for Astrophysics di Harvard, che ha utilizzato i dati dell’osservatorio a raggi x della Nasa Chandra, ritiene di poter confermare che una parte della materia normale che sfugge a diversi tipi di osservazioni, si troverebbe nel mezzo intergalattico tiepido-caldo, noto come Whim (warm-hot intergalactic medium), e più precisamente nei filamenti di gas caldo ionizzato ad alta temperatura, invisibili ai telescopi ottici ma rilevabile nella luce ultravioletta.

La materia normale – riporta Global Science – è la componente di tutti gli oggetti celesti che conosciamo, ma fino ad oggi, solo due terzi di essa sono stati individuati attraverso la teoria e le misurazioni. I dati di Chandra hanno portato gli scienziati a localizzare una parte di materia mancante esattamente in questi filamenti di gas caldo. Nel dettaglio, i ricercatori hanno dato la cacci a questi filamenti lungo percorso di un quasar, una fonte di raggi x alimentata da un buco nero supermassiccio in rapida crescita situato a 3,5 miliardi di anni luce da noi Se la componente del gas caldo del Whim è associata a questi filamenti, allora una parte dei raggi x verrebbe assorbita dallo stesso gas. Per questo motivo, gli scienziati si sono messi alla ricerca della ‘firma’ del gas caldo impressa nella luce dei raggi x emessi dal quasar, rilevata da Chandra.

Grazie a questo metodo, gli studiosi hanno identificato 17 possibili filamenti nascosti tra il quasar e la Terra riuscendo a ricavare anche le loro distanze. Gli spettri luminosi di tutti i filamenti sono stati posizionati per far sì che lo spettro risultante potesse rivelare un segnale di assorbimento più forte rispetto a quello emesso dai singoli spettri. Questa tecnica ha permesso di rilevare la presenza di ossigeno nel gas con temperatura di circa un milione di gradi Kelvin. “Siamo entusiasti di questa scoperta che ci ha portato a rintracciare parte di questa materia mancante – ha detto Randall Smith, co-autore dello studio – in futuro potremo applicare questo stesso metodo ad altri quasar per la ricerca di ulteriori conferme.”

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