Eruzioni e meteo: il mistero dei fulmini vulcanici continua ad intrigare gli esperti

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I fulmini che appaiono improvvisamente ed illuminano i pennacchi scuri e l’impetuoso bagliore di un’eruzione vulcanica invocano alcuni degli eventi più impressionanti e allo stesso tempo terrificanti della natura. Tuttavia, molte delle complessità che coincidono per creare un fulmine vulcanico rimangono ancora avvolte nel mistero. “I pennacchi emessi diventano subito elettricamente carichi, ma le relazioni tra i parametri vulcanici, le condizioni meteorologiche, il tipo e la velocità di un fulmine non sono ancora ben compresi”, si legge nel libro del 2016 “Volcanic Ash: Hazard Observation”.

Nei normali temporali, il fulmine è una scarica elettrostatica tra due nubi elettricamente cariche o tra una nuvola e il suolo. Il movimento della carica elettrica può riscaldare l’aria attraverso cui viaggia fino a 27.760°C, ossia 5 volte più caldo della superficie del sole. “Sembra probabile che i meccanismi meteorologici che generano i fulmini nei temporali siano rafforzati dalla presenza della cenere”, si legge nel libro. La stessa cenere vulcanica che può indurre i fulmini vulcanici è anche ciò che rende lo studio di questi eventi ancora più difficoltoso per i ricercatori, poiché oscura i fulmini stessi.

Secondo Stephen R. McNutt, ricercatore dell’University of South Florida, sono stati documentati fulmini da almeno 400 eruzioni di 152 vulcani. Nel 2015, McNutt ha contribuito al libro “The Encyclopedia of Volcanoes”, in cui ha delineato i diversi tipi di fulmini vulcanici osservati e il modo in cui si sono originati. Ci sono 3 tipi di fulmini associati ai vulcani. I primi sono le “scariche di sfiato”, che sono piccoli flash di breve durata che si verificano nel momento dell’eruzione. I “fulmini near-vent” sono simili e si verificano sopra il condotto durante i primi minuti di un’eruzione.

I “fulmini plume”, tuttavia, si verificano su una scala più ampia, hanno una durata maggiore a partire da diversi minuti dopo l’inizio dell’eruzione e durano anche dopo che il pennacchio si sposta verso il basso. “I fulmini plume somigliano ai fulmini di un normale temporale e acqua e ghiaccio svolgono un ruolo importante. Anche se studi dettagliati sono alle prime fasi, i fulmini hanno il potenziale di migliorare il monitoraggio delle eruzioni esplosive”, ha scritto McNutt.

Una delle caratteristiche uniche del fulmine è che produce segnali radio che si propagano per migliaia di chilometri alla velocità della luce e che potrebbero essere utili ai ricercatori che cercano di monitorare le eruzioni, secondo un articolo del 2014 pubblicato su Journal of Volcanology and Geothermal Research. Monitorare i segnali radio che il fulmine produce può offrire ai ricercatori un modo per rilevare un’eruzione vulcanica rapidamente e a distanza. Inoltre, i segnali radio possono essere utilizzati anche per comprendere meglio i processi che avvengono all’interno del pennacchio di cenere, dove le osservazioni visive del fenomeno sono spesso oscurate.

Durante le eruzioni del 2006 del Mount St. Augustine in Alaska, gli scienziati hanno eseguito misurazioni della radiofrequenza per osservare la sequenza dell’attività elettrica durante le eruzioni. I ricercatori hanno pubblicato le loro osservazioni sulla rivista Science, riportando che l’attività dei fulmini vulcanici era simile a quella dei normali temporali. Uno studio simile è stato condotto nel 2010 durante l’eruzione del Mount Eyjafjallajökul in Islanda, secondo un articolo pubblicato su IOP Environmental Research Letters.

Anche se i precisi meccanismi che innescano i fulmini vulcanici necessitano di ulteriore ricerca, le interazioni tra la cenere vulcanica e le condizioni meteorologiche contribuiscono al loro fenomeno.

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