Modalità di somministrazione: direttamente al cervello tramite una ‘porticina‘ aperta in un lato della testa. E’ questa la prima particolarità di un nuovo trattamento sperimentale per la malattia di Parkinson che è stato testato in un trial clinico che ha coinvolto 35 pazienti (dopo uno studio iniziale sulla sicurezza condotto su 6 persone). Metà dei partecipanti hanno ricevuto un placebo, l’altra metà il Gdnf, fattore neurotrofico derivato dalla linea delle cellule gliali, con il quale si punta a rigenerare le cellule cerebrali morenti e frenare la corsa della patologia.
Sebbene entrambi i gruppi abbiano mostrato miglioramenti nei sintomi, nei pazienti trattati le scansioni cerebrali hanno rilevato un’evidenza visiva di questi miglioramenti nelle aree del cervello colpite dalla patologia. I risultati dello studio clinico sono pubblicati su ‘Brain’ e sul ‘Journal of Parkinson’s Disease’, e anche la ‘Bbc’ online dedica un ampio servizio. Per gli autori della ricerca i dati raccolti suggeriscono che è possibile risvegliare le cellule cerebrali danneggiate dal Parkinson. Altri esperti sono più cauti e suggeriscono che è ancora troppo presto per sapere se questa scoperta potrà effettivamente portare a miglioramenti nei sintomi della malattia.
Ma a finire sotto i riflettori è anche l’impianto che fa da ‘porta d’ingresso’ per il farmaco. Secondo i ricercatori, infatti, potrebbe essere usato anche per somministrare la chemioterapia a pazienti colpiti da tumori cerebrali o per testare nuovi farmaci per Alzheimer e ictus. I partecipanti al trial sono stati sottoposti a un intervento di chirurgia robotica per l’inserimento di 4 tubicini nel cervello, attraverso cui infondere il Gdnf direttamente nelle aree colpite con precisione millimetrica. Lo studio clinico ‘in cieco’ è durato 9 mesi.
I pazienti arruolati, ha spiegato il ricercatore principale dello studio Alan Whone, avevano scoperto di avere il Parkinson in media 8 anni prima. Ma secondo l’esperto quelli trattati con il farmaco mostravano immagini cerebrali che ci si aspetterebbe a 2 anni dalla diagnosi. “Con la Pet (Tomografia a emissione di positroni) abbiamo mostrato che il farmaco arriva e interagisce con il suo obiettivo, le terminazioni nervose della dopamina, e sembra aiutare le cellule danneggiate a rigenerarsi o avere una risposta biologica“.
Parla di risultati positivi anche un paziente coinvolto nello studio, Tom Phipps, 63 anni di Bristol, che dice di essere riuscito durante il trattamento sperimentale a ridurre i farmaci assunti per il controllo dei suoi sintomi. “Sento che mi ha portato un po’ di tempo e ha ritardato il progredire della mia condizione“, dice riguardo alla procedura. Tutti i partecipanti hanno avuto l’opportunità di ricevere Gdnf per altri 9 mesi. A distanza di 18 mesi, quando tutti lo avevano ricevuto, entrambi i gruppi hanno mostrato miglioramenti dei sintomi, da moderati in su, rispetto ai punteggi ottenuti in precedenza. I ricercatori sperano in ulteriori studi che valutino anche l’aumento delle dosi di Gdnf o la durata del trattamento.
Per Arthur Roach, direttore della Ricerca di Parkinson’s UK, realtà che ha finanziato lo studio, “sebbene i risultati non siano ancora chiari“, lo studio ha “migliorato la comprensione dei potenziali effetti del Gdnf sulle cellule cerebrali danneggiate, dimostrando che erogare una terapia in questo modo è fattibile e che è possibile somministrare farmaci con precisione al cervello“.