Alterano la funzione dell’utero interagendo col progesterone, bloccano i meccanismi che regolano il ciclo mestruale con effetti sulla regolarità e ritardo nella comparsa delle prime mestruazioni, interferiscono con l’annidamento dell’embrione e il decorso della gravidanza. E’ l’impatto dei Pfas osservato sulla salute riproduttiva della donna e un team dell’università di Padova ha ora identificato il meccanismo attraverso cui avvengono queste alterazioni che colpiscono la fertilità femminile e inducono fra le altre cose poliabortività. La ricerca ha coinvolto un gruppo di 20enni residenti nell’area rossa veneta ad alto inquinamento di queste sostanze chimiche di sintesi, per valutare gli effetti sul ciclo.
Il gruppo coordinato da Carlo Foresta e Andrea Di Nisio ha valutato l’effetto dei Pfas sul progesterone, ormone femminile che regola la funzione dell’utero, analizzando in cellule endometriali in vitro come “interferiscano vistosamente” sull’attivazione dei geni endometriali attivati dal progesterone. In particolare – spiegano gli autori – è stato dimostrato che, su più di 20 mila geni analizzati, il progesterone normalmente ne attiva quasi 300, ma in presenza di Pfas 127 vengono alterati, tra cui quelli che preparano l’utero all’attecchimento dell’embrione e quindi alla fertilità. I risultati del lavoro durato 2 anni saranno sotto i riflettori al XXXIV Convegno di medicina della riproduzione, in programma ad Abano Terme da giovedì 28 febbraio a sabato 2 marzo.
I composti perfluorurati (Pfas) sono utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti, ma anche per produrre da pellicole fotografiche a detergenti per la casa; possono essere presenti in pitture e vernici, farmaci e presidi medici. E sono ritenuti contaminanti emergenti, poiché l’elevata resistenza termica e chimica ne impedisce l’eliminazione favorendone l’accumulo negli organismi. Fra le zone più esposte, in Italia ci sono in particolare alcune aree del Veneto. Il team di Foresta aveva già pubblicato nei mesi scorsi sul ‘Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism’ una prima scoperta sull’impatto dei Pfas sul sistema uro-genitale dell’uomo. Con la nuova ricerca si completa il quadro analizzando l’altra metà del cielo.
Patologie riproduttive femminili come alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi e aborti, nascite pre-termine e sottopeso possono essere correlate all’azione dei Pfas sulla funzione ormonale del progesterone, spiegano dunque gli esperti. E il motore è l’interferenza con l’attività genica. “La mancata attivazione” osservata per determinati geni “da parte del progesterone altera le importanti funzioni coinvolte nella regolazione del ciclo e nella capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione – precisa Foresta – e quindi giustifica il ritardo nella gravidanza, la poliabortività e la nascita pre-termine. Nella donna il progesterone svolge un ruolo fondamentale nel regolare finemente lo stato maturativo dell’endometrio attraverso lo stimolo di diverse cascate di geni. La riduzione nell’espressione di questi geni da parte dei Pfas è indicativa di una possibile alterazione della funzione endometriale”.
Le conseguenze cliniche di questi risultati, ricordano i ricercatori, “sono state peraltro confermate da un recente studio della Regione Veneto sugli esiti materni e neonatali, che ha riportato un incremento di pre-eclampsia, diabete gravidico, di nati con basso peso alla nascita, di anomalie congenite al sistema nervoso e difetti congeniti al cuore nelle aree a maggiore esposizione a Pfas”. Lo studio del team di Padova aggiunge un tassello: individua un meccanismo alla base dello sviluppo di questi fenomeni.
Per Foresta sono ora urgenti “ricerche che favoriscano l’eliminazione di queste sostanze dall’organismo, soprattutto in soggetti che rientrano nelle categorie a rischio”.
“Allo stato attuale a livello internazionale non ci sono ancora segnalazioni, pertanto è preoccupante pensare che la lunga emivita di queste sostanze possa influenzare negativamente a lungo tutti questi processi, forse anche nelle generazioni future”, incalza Foresta.
Una finestra su questo la offre ancora una volta lo studio padovano. Gli scienziati hanno somministrato questionari a 115 ragazze 20enni dell’area rossa veneta, confrontando le risposte con un gruppo di 1.504 coetanee non esposte a questo inquinamento.
“Dall’analisi sul campione di ragazze esposte a Pfas, probabilmente già in fase embrionale, è emerso un significativo ritardo della prima mestruazione di almeno 6 mesi e una maggior frequenza di alterazioni del ciclo mestruale (ritardi del 30% nelle esposte rispetto al 20% della media) – riepiloga Foresta – Tutti questi segni depongono per un’interferenza da parte di questi inquinanti ambientali sull’attività degli ormoni sessuali nella donna. Pertanto la comprensione del meccanismo d’azione dei Pfas sulla funzione endometriale è importante dal punto di vista clinico e sperimentale”.