Global Warming, ecco perché un maggior riscaldamento significa la fine del mondo come lo conosciamo

MeteoWeb

Parlando di riscaldamento globale e cambiamenti climatici, gli esperti indicano conseguenze disastrose per la vita sulla Terra come oggi la conosciamo. Questo significa che potrebbe avvenire l’estinzione di qualche specie vivente e che per gli esseri umani, gli effetti di un mondo sempre più caldo andranno ad influenzare molti aspetti del nostro confortevole modo di vivere.

Le minacce alle nostre vite stanno aumentando perché il calore sta aumentando e già solo questo cambiamento ha le sue conseguenze: da quelle ambientali ed economiche a quelle fisiche della vita umana. Più il calore aumenterà, più alto sarà il rischio che bruci quasi tutto ciò che abbiamo sempre dato per scontato. La principale causa delle preoccupazioni su un clima più caldo è il carbonio che regolarmente rilasciamo nell’atmosfera grazie all’utilizzo dei combustibili fossili. Il carbonio ha trasformato l’atmosfera in una “trappola di calore” sempre più forte e il calore che abbiamo già intrappolato negli oceani e nell’atmosfera è diventato un potente attore nella nostra epoca e nelle nostre vite. Ovviamente, questo livello di calore sta già causando problemi, incluso il rischio reale di superare i pericolosi punti di 1,5 e 2°C oltre i livelli preindustriali.

L’entità degli impatti del riscaldamento globale dipenderà anche dai cosiddetti positive feedback, ossia quei fenomeni che accelerano il rilascio di carbonio nell’atmosfera. Per esempio, l’utilizzo dei combustibili fossili da parte dell’uomo rilascia più anidride carbonica nell’atmosfera, che riscalda le temperature, che provocano un più rapido scioglimento del permafrost (pieno di carbonio) che, a sua volta, rilascia ancora più anidride carbonica, creando un pericoloso circolo vizioso. Ma la scienza sapeva di queste implicazioni dagli anni del 1890.

Allora, il mondo aveva già iniziato a bruciare carbone su larga scala, si sapeva già che tale combustione avrebbe aggiunto CO? nell’atmosfera oltre i livelli normali e dal 1869 era stato stabilito che la CO? è un gas che trattiene calore. Quindi, utilizzando il più semplice modello nella storia della climatologia, nel 1896 il chimico e fisico Svante Arrhenius è stato in grado di prevedere che la maggior combustione un giorno avrebbe scaldato il mondo fino a portare alla perdita di neve e ghiaccio. Arrhenius sapeva anche che la neve e il ghiaccio riflettono la radiazione solare dalla Terra, con un effetto di raffreddamento noto come albedo. Quindi, il chimico si aspettava che la perdita di albedo avrebbe aumentato il calore della Terra oltre quello bloccato dalla CO? e che avrebbe continuato a scaldare il pianeta da sola. Questa è stata la prima idea di positive feedback. Ma non è stata l’ultima. Ora, infatti, sono molti di più.

Un giornalista, Mark Lynas, è stato il primo a dedicare un libro, “Six Degrees”, al peso di molteplici positive feedback. Nel suo libro, Lynas descrive una serie di positive feedback che potrebbero costringere il pianeta a diventare più caldo, poi più caldo, poi ancora più caldo, anche se gli esseri umani smettessero di bruciare combustibili fossili. Per esempio, Lynas ha citato le registrazioni scientifiche delle evidenze del rischio che la Foresta Amazzonica possa perire a causa dello stesso riscaldamento che minaccia neve e ghiaccio. La comunità scientifica ha espresso preoccupazione sul fatto che un collasso della grande Foresta Amazzonica possa avere conseguenze globali a causa del rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera da parte della foresta “morente”.

Lynas ha portato l’analisi al livello successivo, indicando che la nuova dose di calore dell’Amazzonia “morente” potrebbe portare allo scioglimento del permafrost e del suo ghiaccio, liberando il suo carbonio per portare un calore ancora più grande al pianeta a causa dei positive feedback che si preparano il terreno gli uni con gli altri. Tracciando le possibili conseguenze di una serie di positive feedback, Lynas ha sostenuto che metteremmo la quarta a questo processo se non riuscissimo a limitare il calore a 2°C oltre i livelli preindustriali. La sua analisi ha indicato un aumento del calore di 6°C e un’”estinzione di massa”. 9 anni dopo, in un articolo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, anche la comunità scientifica ha preso in seria considerazione molteplici positive feedback. Senza menzionare il lavoro di Lynas, gli esperti hanno considerato come questi feedback potessero colpire in serie, come per effetto domino, scaldando il pianeta sempre di più. Lynas aveva parlato di 6°C. Gli scienziati hanno concluso che potremmo arrivare ad un aumento di calore di circa 5°C, se mancassimo l’obiettivo di 2°C rispetto ai livelli preindustriali.

Questo ha enormi implicazioni per l’intero pianeta. Raggiungere un riscaldamento di 2°C potrebbe portare il pianeta su una traiettoria che “probabilmente causerebbe serie alterazioni degli ecosistemi, della società e delle economie”, sostengono gli scienziati, giungendo alla conclusione che per evitare tutto questo, tra le altre cose, servono “cambiamenti comportamentali” e una trasformazione dei “valori sociali. Ma gli esperti hanno aggiunto anche un altro positive feedback, ossia il calore aggiunto dagli oceani. La nostra dipendenza dai combustibili fossili ha riscaldato gli oceani, quindi ora possono evaporare più liberamente nell’atmosfera. Il vapore acqueo è il gas serra più abbondante nell’atmosfera e il feedback del vapore acqueo non fa altro che creare un riscaldamento maggiore.

Gli esperti esprimono preoccupazione anche per il linguaggio utilizzato per descrivere l’aumento di calore che sta vivendo la Terra. “Per decenni, l’abbiamo chiamato “riscaldamento globale”, una frase dal tono innocuo che invoca un leggero aumento delle temperature nel mondo, come accendere il termostato in una casa”, riporta una valutazione dell’Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences. “Le persone chiedevano: “Quindi il clima si sta riscaldando. Che importa?” E gli scienziati sono parzialmente responsabili di questo per come è stato descritto il clima”, ha commentato Michael B. McElroy, professore di studi ambientali dell’Harvard University. E la climatologia ormai continua a lottare contro tutto questo da anni.

Per un’ampia varietà di ragioni, i livelli di anidride carbonica oggi hanno già aperto le porte a nuovi estremi di calore a causa di 10 o più positive feedback. Poiché la CO? dei combustibili fossili rimarrà nell’atmosfera per secoli, le porte aperte per i positive feedback non si chiuderanno presto e il rischio di un’emergenza globale incombe come un macigno se non supereremo la resistenza umana al cambiamento.

Come affrontiamo i cambiamenti climatici?

La portata del calore che deriva dai positive feedback dipende molto da come spendiamo tempo e denaro. Nel maggio 2018, la rivista Nature Climate Change riportava: “La grande sfida è ancora realizzare riduzioni delle emissioni al ritmo e alla scala necessari, soprattutto in un mondo in cui le economie sono guidate dal consumo”. Anche se esiste tutta la complessità possibile nel potere di consumo che porta il riscaldamento a livelli sempre più pericolosi, ci sono almeno 3 aspetti molto chiari.

  1. Le grandi economie sono guidate dal consumo. E ovviamente qualsiasi indizio del fatto che i consumatori si ritirino sulla spesa porterà immediatamente al grido della crisi economica.
  2. La metà più povera della popolazione mondiale è responsabile solo di circa il 10% delle emissioni globali attribuite al consumo individuale. Ovviamente, i più poveri non hanno il potere d’acquisto per guidare un grande consumo. Saltare su un aereo per andare a vedere una partita di calcio, comprare un’asciugatrice per sostituire i panni stesi all’aperto o un asciugacapelli per sostituire un asciugamano sono sicuramente le ultime idee nella mente di questa metà del mondo. Ne deriva che il resto del mondo è responsabile del 90% del consumo che sta costringendo il clima a cambiamenti sempre più pericolosi.
  3. Le aziende e il mondo ricco in generale hanno importanti ruoli da svolgere. La resistenza a cambiare le loro routine ha portato queste entità ad indugiare, ma ora stanno diventando sempre più consapevoli dei rischi che tutti corriamo. E alcuni stanno iniziando ad agire contro la resistenza dei governi e delle aziende.

Per esempio, l’Institutional Investors Group on Climate Change, un gruppo di 415 di imprese d’investimento che gestisce attività complessive dal valore doppio rispetto all’intera economia cinese, ha chiesto alle aziende di dire la verità nel riportare i rischi del clima. Inoltre, il gruppo ha anche chiesto ai governi di ritirarsi dalla dipendenza del carbone termico, di smettere di finanziare i combustibili fossili e di fissare un prezzo per il carbone. La bellezza di questa campagna di pressione del gruppo è che non si concentra solo su un’unica “azione miracolosa”, ma esorta a riforme governative su 3 punti, respingendo qualsiasi idea secondo cui una singola azione di un governo possa fare tutto il lavoro. E questo è in linea con l’esortazione da parte dei climatologi sul fatto che l’azione sarà necessaria su ampie fasce delle nostre vite.

Alcuni hanno posto l’onere sulle aziende, sostenendo che individui e famiglie non possano farcela da soli. Ma le famiglie possono ridurre l’impatto ambientale nazionale del 22%, non così poco da tirarsene fuori. Il che ci riporta alla realtà che alcune famiglie sono benestanti al punto da spendere più di altre. Ma questo non ci porta solo la divisione tra nazioni ricche e povere, ma è applicabile anche all’interno delle singole nazioni ricche. Infatti c’è una crescente disuguaglianza a quanto consumo possano permettersi di rinunciare le persone senza sentire un “tormento” non necessario e insensato. Questo lascia che gli stati più ricchi siano responsabili del mantenere il riscaldamento a livelli accettabili, riducendo il loro consumo.

Quando e cosa?

L’aumento del calore e le sue conseguenze stanno già influenzando tutto, non solo l’Amazzonia, l’Antartide e l’Artico, non solo gli orsi polari, non solo i fiumi e gli alberi secchi del mondo. Purtroppo, le preoccupazioni su queste cose non bastano a invertire la tendenza, perché è facile non preoccuparsi degli orsi polari o dei fiumi del mondo. E quel che è ancora peggio è che le campagne per proteggere l’ambiente sono viste come nemiche dell’economia. E questo non cambierà facilmente. Molti credono ancora che ritenere l’uomo responsabile del riscaldamento globale sia uno dei soliti complotti per abbattere le economie. Ma questo non ha senso perché siamo arrivati al punto di mettere in pericolo ambiente ed economia allo stesso tempo.

Indicando la portata mondiale della minaccia all’economia, il magazine World Finance ha recentemente indicato: “È sempre più chiaro che la minaccia dei cambiamenti climatici non sta semplicemente danneggiando l’ecosistema naturale della Terra, ma anche l’economia mondiale”. A gennaio 2019, il magazine American Banker ha avvisato che il “pianeta si sta riscaldando ad un ritmo spaventosamente alto e senza intraprendere un’azione rapida per ridurre le emissioni di gas serra, i costi economici saranno gravi”. La Bloomberg Climate Changed ha sintetizzato la situazione il 7 febbraio scorso: “Gli ultimi 5 anni sono stati nel complesso i più caldi mai registrati nel mondo. Questo riscaldamento, che NASA e NOAA collegano direttamente all’attività umana, ha immediate conseguenze finanziare”.

Non sono a rischio solo banche e compagnie di assicurazione. Anche famiglie e individui saranno colpiti direttamente: alcuni dall’aumento dei mari che distruggono le case, altri dal caldo e dalla siccità che provocano incendi che riducono le abitazioni in cenere, altri ancora dalla siccità che prosciuga le riserve d’acqua della casa. E gli effetti non finiscono certo qui. Quindi, dopo decenni a sostenere che proteggere l’ambiente mette in pericolo l’economica, viene fuori che abbiamo messo in pericolo entrambi.

Chi è responsabile?

Miliardi di persone nel mondo rappresentano moltissimi consumatori. Indipendentemente dal consumo che avremmo potuto permetterci, anche dipendendo totalmente dai combustibili fossili, il calore che avremmo rilasciato all’atmosfera sarebbe impercettibilmente piccolo se la popolazione umana globale fosse di 100 persone o anche di 100 milioni di persone. La realtà è che siamo circa 7 miliardi. E di questi 7 miliardi, 1,7 miliardi sono stati identificati come “persone caratterizzate da diete con cibi altamente processati, dal desiderio di case più grandi, di più auto e auto più grandi e da stili di vita devoti all’accumulo di beni non essenziali”. Per esempio, la classe media cinese rappresenta una buona porzione di essi. Gli europei si sono appena uniti al gruppo: i ricercatori hanno determinato che circa il 25% della riduzione dell’impatto ambientale dei consumatori europei potrebbe essere raggiunta con la riduzione delle spese sulle importazioni.

Dove ci porterà tutto questo?

Siamo arrivati al punto in cui iniziamo a comprendere che non abbiamo più un singolo asso nella manica che possa salvarci e che invece dobbiamo fare molte cose, molto in fretta e tutti insieme per indebolire i positive feedback che potrebbero esporre le nostre vite al rischio di un calore sempre più pericoloso. Se dovessimo fallire, ne risentirebbero le nostre vite, la nostra libertà, il nostro benessere. Stiamo andando incontro a qualcosa di enorme che potrebbe avere influenze vastissime: dagli orsi polari all’economia, dai ghiacciai alle polizze assicurative. Ciò che dobbiamo fare è chiaro, dobbiamo solo abituarci presto.

Condividi