E’ allarme a Roma per il livello del Tevere, che sta salendo con una rapidità impressionante da ieri. Nella notte ha raggiunto livelli di emergenza e stamattina è già esondato nelle campagne fluviali a Nord della Capitale. Ma il livello del fiume è altissimo anche in città, e continuerà a crescere nelle prossime ore.
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Il Tevere a Roma potrà crescere ulteriormente anche domani, quando in città tornerà definitivamente a splendere il sole, per le ulteriori piogge che interesseranno il Centro Italia lungo il corso del fiume. Il Tevere, infatti, è il più grande bacino idrografico dell’Italia centrale. Con 405 chilometri di corso è il terzo fiume italiano per lunghezza, dopo il Po e l’Adige. La sorgente del fiume Tevere, il punto di nascita del grande bacino fluviale, si trova sulle pendici del monte Fumaiolo, nell’Appennino Tosco/Emiliano, vicino alle Balze, frazione del comune di Verghereto, nella provincia di Forlì-Cesena. Durante il periodo fascista fu Mussolini che nel 1923 fece spostare i confini regionali, includendo il Monte Fumaiolo e la cosiddetta Romagna Toscana nella regione a est dell’Appennino, assecondando cosi il suo desiderio che le sorgenti del Tevere si trovassero nel forlivese, nella sua provincia di origine. A pochi chilometri della sorgente il fiume lascia la Romagna per entrare in Toscana, nell’aretino, attraversandola per un breve tratto con regime torrentizio.
Tra Pieve Santo Stefano e Sansepolcro, assieme a tre affluenti minori, dà origine al Lago di Montedoglio. Uscendo dal territorio toscano il corso del Tevere si prolunga all’interno dell’Umbria. Alla fine del tratto collinare del percorso fu realizzata, durante gli anni cinquanta, una diga finalizzata alla generazione di energia elettrica. Il Lago di Corbara, direttamente a valle della diga, e il successivo piccolo lago di Alviano. Questo tratto finale del corso del Tevere in Umbria di circa 50 chilometri costituisce il parco fluviale del Tevere. Da Città di Castello il fiume comincia ad ingrossarsi, dopo la confluenza con l’affluente Chiascio e quella con il Paglia. Arrivato a Orte, tra Umbria e Lazio, riceve le abbondanti acque del Nera-Velino, e si accinge a delimitare la Tuscia e la Sabina, dove il Treja, l’Aia e il Farfa poi vi affluiscono, determinando un ulteriore sensibile incremento della portata. Alla confluenza del Farfa, tra i comuni di Nazzano e Montopoli, si trova la riserva naturale Tevere Farfa, area di importanza internazionale per l’avifauna migratoria e per la preservazione delle biodiversità.
Da qui il grande fiume attraversa Roma, ricevendo l’Aniene che gli incrementa a quasi 240 m3/s la portata media e infine, dopo altri 30 chilometri, sfocia nel Tirreno, ad Ostia in un delta di due soli bracci, uno naturale Fiumara grande e l’altro (il Canale di Traiano), che delimitano l’isola Sacra ed a Fiumicino, canale artificiale. Come abbiamo visto il Tevere, essendo il terzo fiume più lungo del paese, con un ampia portata, risente fortemente della pluviometria dell’aretino e di buona parte del territorio umbro. L’acqua raccolta in questi territori alimenta il corso del fiume, che dall’Umbria si dirama sul territorio laziale, tra viterbese e romano, dove riceve l’apporto di altri affluenti, ingrossandosi notevolmente prima di attraversare la città di Roma e sfociare sul Tirreno. Le famose piene del Tevere vengono determinate proprio dagli eccessivi carichi precipitativi, per vari giorni, che si vanno a localizzare tra la Toscana e l’Umbria, riguardando in modo particolare le aree in cui ricade l’omonimo bacino idrografico e i tanti bacini che fungono poi da affluenti, specie in Umbria. L’origine delle grandi ondate di piena è molto lontana. Basta che una severa fase di maltempo, caratterizzata da forti e persistenti precipitazioni (per vari giorni), si vada a localizzare fra la Toscana e il territorio umbro, affinchè si sviluppi un’onda di piena, che con grande gradualità scorre lungo l’intero corso del fiume, attraversando la città di Roma, che nel corso della sua storia millenaria, è stata avvezza ad allagamenti, inondazioni o alluvioni catastrofiche.
Le piene storiche del Tevere su Roma
Fin dall’antichità le piene del Tevere erano un costante pericolo. In particolare, l’isola tiberina veniva letteralmente sommersa e per tanto le sue rive furono rivestite di muri in marmo travertino che assunsero l’aspetto di una nave. Più volte fu ipotizzata, in passato, la deviazione del percorso del fiume per evitare alla città tali catastrofi, ma senza mai un approccio serio. Solo nel 1870 fu dato il via alla costruzione dei muraglioni di arginatura in marmo travertino. L’ultima pietra fu posta nel 1924. La loro altezza fu fissata a 18.45 metri sullo zero di Ripetta. Roma poteva conservare il suo fiume, ma l’aspetto della città aveva subito una radicale trasformazione. I muraglioni infatti erano insolitamente alti. Altre grandi capitali europee, come Londra e Parigi, presentano muri di argini molto più bassi. La ragione di ciò va ricercata nella diversa struttura del bacino di raccolta delle acque dei fiumi.
Diversamente dalla Senna e dal Tamigi, la cui portata cresce al massimo di 6 volte, il Tevere, durante le ondate di piena, cresce a dismisura, fino a 25 volte. Questo è spiegabile dal fatto che dopo un certo tempo il bacino non assorbe più l’acqua piovana che finisce tutta nel suo corso. Mentre nelle campagne il fiume trova grandi spazi per temporanei allagamenti (abbiamo visto gli allagamenti nel viterbese), in città arriva come un’imponente onda di marea che travalica ogni sponda di livello inferiore. Nell’antichità e durante il periodo imperiale, quando il suolo era più basso dell’attuale, di circa 7-9 metri, le piene del Tevere avevano quasi sempre delle conseguenze devastanti. Tra il 414 a.C. (data della piena più antica, riportata da Tito Livio) ed il 1277, a Roma sono state registrate ben 58 piene, in media una ogni 30 anni. Secondo Rodolfo Lanciani, dall’antichità al 1870, le piene più importanti, da cui sono scaturite le inondazioni, sono ben 132. La peggiore esondazione, con molta probabilità, è quella avvenuta nel 1598.
Allora, la piena del fiume, allagò la città eterna, cagionando oltre 150 morti, di cui 80 solo nel Carcere Tor di Nona. Il livello dell’acqua raggiunse un dato record di ben 19.56 metri, il più alto di sempre. Anche nel 1870 si ebbe una disastrosa piena. A Ripetta il livello del fiume aveva segnato l’altezza di 17,22 metri. Era l’anno della dichiarazione di Roma capitale d’Italia e in quella circostanza il re visitò una parte della città in barca. Oggi, grazie alla costruzione dei grandi muraglioni su entrambi i lati del Tevere, il rischio di inondazioni è molto remoto. Ciò si può concretizzare solo quando il livello delle acque del bacino idrografico oltrepassa i 16 metri. In questo caso può scattare il campanello di allarme. Finora, dal 1875 ad oggi, dopo la costruzione dei grandi muri d’argine, Roma ha avuto solo tre inondazioni per le piene del Tevere. L’ultima è quella del 1937, quando la zona di via Portuense rimase totalmente allagata. Da allora il Tevere non è più riuscito a superare i grandi muraglioni, con una prevalenza delle cosiddette “piene morbide”, solitamente innocue per la città eterna, pur con danni e disagi come accaduto di recente nel Dicembre 2008 e nei primi giorni di Febbraio 2014.
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