Astronomia: l’addio di New Horizons a Ultima Thule

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Ha festeggiato il nuovo anno con un evento storico, documentandolo con una serie di immagini da guinness dei primati, e ora prosegue il suo viaggio verso le profondità dello spazio: è New Horizons, la sonda Nasa che dopo aver effettuato il sorvolo di Plutone nel luglio 2015, lo scorso 1° gennaio ha fatto il bis con il fly-by di 2014 Mu69, un oggetto della Fascia di Kuiper (Kbo) noto come Ultima Thule. Il Kbo si trova ad una distanza di 6,5 miliardi di chilometri dalla Terra e quindi, con il sorvolo, New Horizons ha conseguito il primato della più lontana esplorazione di un corpo celeste da parte di un manufatto umano; allo stesso modo, proprio per questa distanza, sono da record le immagini riprese dalla sonda e i filmati creati con esse.

Con una sequenza di 14 foto scattate dallo strumento Lorri (Long Range Reconnaissance Imager), il team della missione ha realizzato un breve filmato che ha chiamato “departure movie”, dato che si tratta delle immagini riprese dalla sonda poco dopo il fly-by di Ultima Thule; in quel momento, New Horizons, mentre ‘salutava’ il Kbo, stava sfrecciando ad una velocità di oltre 50mila chilometri orari. Il nuovo set di foto, inoltre, si è rivelato di grande utilità per determinare la forma dell’oggetto celeste. In un primo momento, in base alle immagini ottenute durante le manovre di avvicinamento della sonda, si pensava che i due segmenti di cui è costituito Ultima Thule fossero sferici. Tale ipotesi, però, è stata sconfessata: dalle foto emerge chiaramente che la parte più grande del Kbo è tondeggiante e schiacciata, tanto da ricordare un pancake, mentre quella più piccola sembra una noce ammaccata.

Nelle immagini si scorge anche un cielo punteggiato di astri: temporaneamente oscurate dal passaggio di Ultima Thule nell’estate del 2017 e in quella del 2018, queste stelle hanno consentito agli studiosi di tracciare un identikit preliminare di Ultima Thule, che già si presentava composto da due entità. A questo punto, gli studiosi, che attendono altri dati dalla sonda, si interrogano su come un oggetto del genere possa essersi formato, anche perché le sue parti si sono rivelate molto più schiacciate di quanto ci si aspettasse. Ulteriori approfondimenti su Ultima Thule, secondo il team della missione, saranno di grande utilità per ricostruire il processo di formazione dei planetesimi nell’antico Sistema Solare.

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