“Solo 13 milioni di italiani usufruiscono oggi di forme sanitarie integrative, circa il 22% della popolazione, uno dei dati più bassi in Europa: peggio solo Grecia, Portogallo e Spagna. Sono state 8,3 mln le prestazione erogate lo scorso anno. Eppure la sanità integrativa, per chi già ha avuto modo di sperimentarla, garantisce grandi vantaggi. Il livello di rimborso delle cure pagate di tasca propria, infatti, è di oltre due terzi“. Lo ha affermato Marco Vecchietti, amministratore delegato e direttore generale di Rbm Assicurazione salute, in una intervista all’Adnkronos Salute dopo l’audizione ieri mattina alla Commissione Affari Sociali della Camera, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale.
“La sanità integrativa dovrebbe, a nostro avviso, avere un ambito di operatività il più vicino possibile a quelli che sono i contenuti attuali della spesa sanitaria privata – ha evidenziato Vecchietti – Non dobbiamo dimenticarci che l’obiettivo di uno strumento di questo tipo è ridurre l’incidenza delle cure pagate di tasca propria sul reddito delle famiglie. In quest’ottica l’impianto attuale che prevede una sanità integrativa fortemente concentrata sulle prestazioni di tipo odontoiatrico, socio-sanitario e socio-assistenziali, dovrebbe in realtà abbracciare all’interno del suo perimetro di operatività sopratutto l’ambito della diagnosi precoce, uno dei principali ambiti di spesa per gli italiani. E, perché no, anche l’ambito delle attività di natura extra-ospedaliera, in particolare specialistica e diagnostica che sempre più sono rilevanti nel bilancio delle famiglie“.
Vecchietti ha presentato il nuovo rapporto Rbm-Censis sanità integrativa (2017-2018) da cui emerge che “nel 2017 sono state pagate oltre 8,3 milioni di prestazioni sanitarie per un valore medio di 433,15 euro per assicurato. Quasi 4 milioni di prestazioni specialistiche, poco meno di 3 milioni di cure dentarie e oltre 1 milione di diagnosi precoci. Un aiuto concreto per le famiglie italiane, soprattutto per i redditi medio bassi (3 cittadini su 10 gli assicurati con redditi inferiori a 35 mila euro)“, evidenzia il report.
“Alla luce di questi dati bisognerebbe pensare a come estendere presto a tutta la popolazione questo strumento di protezione sociale, superando posizioni ideologiche e preconcette che mirano a sottrarre queste importanti tutele a chi le finanzia già da anni con il proprio stipendio – ha aggiunto Vecchietti – Bisognerebbe, in altre parole, istituire un vero e proprio ‘secondo pilastro sanitario’ universale così come il Ssn per raddoppiare il diritto alla salute degli italiani“.
“Attualmente la sanità integrativa – ricorda Vecchietti – intermedia 5,8 miliardi di euro di spesa sanitaria, ossia il 14,6% circa della spesa sanitaria privata totale, dato inferiore a quello della maggior parte dei Paesi Ocse, nei quali al sistema di tutela sanitaria di base si affianca, su base istituzionale o volontaria, un secondo pilastro sanitario aggiuntivo. Le potenzialità del settore e i benefici correlati sono però molto elevati – sostiene – a fronte di 3,9 mld di euro di contributi lordi versati nel 2018 il totale dei rimborsi pagati ammonta a 3,6 mld di euro, dato in crescita di ben il 30% rispetto al 2017“.
Rispetto all’indagine conoscitiva sui fondi integrativi, Vecchietti sottolinea che “assistiamo a un interesse rinnovato per la sanità integrativa da parte del mondo politico; registriamo questa tendenza come un fatto molto positivo visto che le norme sono ferme da oltre 10 anni. Ma ci sono alcuni nodi da sciogliere sulla situazione del Ssn – rimarca Vecchietti – uno è quello della sostenibilità finanziaria: da qui al 2025 sappiamo, da stime della Ragioneria dello Stato, che si prevede la necessità di finanziamenti ulteriori per 20-30 mld, che non risulta compatibile con il budget di spesa pubblica per la sanità. E c’è la tematica di rendere la sanità integrativa il più possibile sinergica e strutturalmente integrata con il Ssn. Cosa che richiede un superamento dell’impianto attuale – conclude – che vede la sanità integrativa come strumento di contrattazione collettiva. Credo che ci sia spazio per un dialogo e la possibilità di rivedere le regole del gioco“.