Sono oltre 33 mila gli italiani ogni anno colpiti da un tumore del sangue. Attualmente la maggior parte di queste patologie presenta una diagnosi infausta, ma negli ultimi decenni sono stati fatti passi da gigante nell’allungamento della prospettiva di vita e nel miglioramento della qualità di quest’ultima, grazie soprattutto all’introduzione di terapie di prima linea che vedono l’impiego di combinazioni di trattamenti classici (chemio) con l’immunoterapia.
A fare il punto sono gli esperti riuniti a Bologna da oggi al 16 febbraio per il ‘Post San Diego 2018’, meeting che a due mesi dalla conclusione dell’Ash (l’annuale congresso mondiale dell’American Society of Hematology) presenta in Italia tutte le novità e i progressi a livello biologico e terapeutico.
“Il ‘Post Ash’, giunto quest’anno alla 12.esima edizione – spiega Pier Luigi Zinzani, coordinatore del Post San Diego 2018 e professore ordinario di Ematologia all’Istituto Seràgnoli dell’Università di Bologna – è un evento scientifico in grado di dare agli ematologi italiani un aggiornamento completo ed altamente qualificato del meeting della Società americana di ematologia, che rappresenta il più importante evento ematologico dell’anno”.
In particolare sono stati mostrati i risultati incoraggianti di numerosi studi che hanno visto l’impiego di anticorpi monoclonali in associazione ai classici farmaci chemioterapici. L’uso della tecnica chiamata Car-T, ancora su un numero basso di pazienti, ha inoltre aperto la strada a una promettente strategia di cura che potrebbe rivoluzionare il decorso e la prognosi di queste neoplasie.
Le Car-t rappresentano una terapia destinata a pazienti selezionati, in particolare ad oggi sono state approvate in Italia per l’utilizzo nei pazienti con leucemia linfoblastica e linfomi ad alto grado che non hanno risposto o sono ricaduti dopo aver ricevuto le terapie convenzionali (chemio e radioterapia). Ma sembrano essere molto promettenti anche per altre patologie.
“Car-T è una immunoterapia che utilizza particolari globuli bianchi, i linfociti T, ingegnerizzati per attivare il sistema immunitario contro le cellule tumorali, come succede ad esempio per le infezioni – spiega Paolo Corradini, presidente della Società italiana di ematologia e direttore della divisione di Ematologia Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori – I linfociti T del paziente vengono prelevati e successivamente geneticamente modificati in laboratorio in modo da renderli capaci di riconoscere le cellule tumorali: quando vengono restituiti al paziente entrano nel circolo sanguigno e sono in grado di riconoscere le cellule tumorali e di eliminarle attraverso l’attivazione della risposta immunitaria”.
“Le novità emerse dal congresso Ash di San Diego – prosegue – sono state la conferma dell’attività delle Car-T nei linfomi ad alto grado e che il controllo della malattia dura anche dopo due anni di ‘follow-up’ senza necessità di ulteriori trattamenti. Altre importanti novità sono arrivate dall’utilizzo delle Car-T nel mieloma multiplo con malattia ricaduta e refrattaria, contro cui hanno mostrato importanti segni di efficacia. Inoltre sono stati presentati dati incoraggianti sull’utilizzo di queste terapie in altri ambiti come linfoma di Hodgkin, linfoma anaplastico e leucemia linfatica cronica su cui sono in corso studi clinici. Altre novità arrivano dal possibile utilizzo delle Car-T in associazione ad altri farmaci che ne potenziano l’attività e talora riducono gli effetti collaterali”.
Quando si parla di linfomi si fa riferimento a un insieme di più di trenta malattie, più o meno aggressive, che rappresentano le più frequenti neoplasie ematologiche. Ancora non è stato identificato un chiaro fattore di causalità e per questo la diagnosi avviene tramite l’analisi istopatologica dopo biopsia.
Per quanto riguarda l’approccio terapeutico “negli ultimi 20 anni lo scenario si è rapidamente modificato passando dalla convenzionale chemioterapia alla terapia combinata con l’introduzione della chemioimmunterapia. In questo ambito ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale l’anticorpo anti-Cd20 – spiega Zinzani – Gli anticorpi monoclonali, inoltre, hanno dato buoni risultati anche nel linfoma di Hodgkin, nei linfomi di derivazione T-linfocitaria, nel linfoma primitivo del mediastino, nel linfoma mantellare e nei linfomi follicolari. Il nuovo approccio terapeutico rappresentato dalle Car-T ha dato una svolta fondamentale nell’ambito dei linfomi diffusi a grandi cellule, come è emerso anche all’Ash 2018”.
“Al congresso di San Diego sono stati presentati anche i risultati delle terapie per il linfoma di Hodgkin con un anticorpo ‘drug conjugate’, cioè collegato a un farmaco biologicamente attivo, anti-Cd25 e la combinazione a tre farmaci con anticorpi monoclonali. Anche nell’ambito degli altri linfomi le combinazioni tra chemioterapie e immunoterapia con anticorpi monoclonali si sono mostrate efficaci”, conclude Zinzani.