Acqua: l’agricoltura ‘si beve’ il 70% di quella dolce prelevata 

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Che uso facciamo oggi dell’Acqua, riconosciuta nel 2019 dall’Onu come diritto umano essenziale? Il 70% dell’Acqua dolce prelevata da fonti di superficie o falde acquifere e’ impiegata nel settore agricolo ed e’, quindi, alla base della produzione di cibo, mentre oltre il 90% della nostra impronta idrica, cioe’ dell’indicatore che mostra il consumo di Acqua dolce da parte della popolazione, e’ legata proprio al consumo di cibo.

Un vero paradosso, visto che – sempre secondo l’ONU – circa 2 miliardi di persone nel mondo vivono in zone ad elevato stress idrico, ossia con difficolta’ ad accedere all’Acqua.

Un quadro destinato a impattare anche sulle migrazioni, dato che entro il 2030 si prevede che proprio la scarsita’ di Acqua in alcuni luoghi aridi e semi-aridi fara’ spostare dai 24 ai 700 milioni di persone.

E’ questa l’analisi elaborata da Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, che ricorre il prossimo 22 marzo. Il quadro che emerge da questa analisi appare pero’ ancora piu’ complesso: due terzi della popolazione mondiale (circa 4 miliardi di persone) vive attualmente in aree che soffrono di carenza idrica per almeno un mese all’anno, mentre 1,6 miliardi di persone (quasi 1/4 della popolazione mondiale) soffre la carenza di Acqua per motivi economici, perche’ i Paesi in cui vivono non dispongono delle infrastrutture necessarie per prelevare questa risorsa. Per questo, serve guardare a modelli alimentari che siano davvero sostenibili, privilegiando quegli alimenti – e quelle diete – che tengano conto anche dell’impronta idrica del cibo che mettiamo ogni giorno a tavola.

E se si pensa che da qui al 2050 la popolazione mondiale superera’ i 9 miliardi di persone, ecco che interventi concreti appaiono piu’ che mai necessari. Intervenire sulla produzione di cibo, che rappresenta la maggiore causa di utilizzo dell’Acqua a livello globale, e sul modo in cui lo consumiamo sembra ormai un passo inevitabile ed urgente.

I numeri confermano come le nostre scelte alimentari impattino sul consumo di acqua: scegliere un menu con carne, che ha un’impronta idrica di 2031 Kcal, significa consumare ben 4.707 litri di acqua. Quantita’ che si andrebbe a ridurre scegliendo un menu vegetariano (2.828 litri e 2016 Kcal) o uno vegano (2.523 litri e 2109 Kcal).

A livello europeo e’ stato stimato che mangiare meno carne potrebbe ridurre l’impronta idrica fino al 35%, mentre sostituendo la carne con il pesce, l’impronta idrica si ridurrebbe fino al 55% (stessa percentuale che si otterrebbe passando ad una dieta vegetariana)[7]. Apportare questi cambiamenti non solo farebbe risparmiare acqua, ma avrebbe anche un impatto positivo sulla salute, migliorando la dieta nei Paesi in cui piu’ di 1/3 della popolazione e’ in sovrappeso e circa 1/4 obesa.

Che le nostre scelte alimentari impattino su ambiente e cambiamenti climatici e’ un dato ormai assodato (si stima che l’agricoltura produca circa il 24% dei gas serra globali, una delle cause dei cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo). E proprio i cambiamenti climatici rischiano di compromettere i sistemi agricoli dei Paesi in via di sviluppo.

L’agricoltura che dipende dall’acqua piovana rappresenta, infatti, la tecnica maggiormente utilizzata per oltre il 95% delle terre coltivate nell’Africa sub-sahariana; il 90% di quelle in America Latina; il 75% di quelle nel Medio Oriente e nel Nord Africa; Il 65% di quelle in Asia orientale; e il 60% di quelle in Asia meridionale.

Come noto, le risorse idriche piovane dipendono dalle condizioni atmosferiche di ogni zona e, in questo quadro, una potenziale minaccia alla agricoltura alimentata da acqua piovana potrebbe arrivare dal cambiamento climatico. Proprio quest’ultimo, infatti, sta gia’ modificando la frequenza e la copiosita’ delle precipitazioni causando aumenti negli eventi di siccita’ e nelle inondazioni: si prevede che la frequenza delle precipitazioni estreme aumentera’ in maniera preoccupante in Paesi come il Regno Unito (le precipitazioni potrebbero aumentare di 5 volte nelle aree Nord ed Ovest del Paese) e il Bangladesh (dove si prevedono aumenti delle precipitazioni di 3-7 volte)[9] con conseguenti aumenti della durata, dell’estensione e della gravita’ delle inondazioni.

Continuando con l’analisi si scopre che ogni italiano ha un’impronta idrica complessiva (ossia derivante dal consumo di prodotti agricoli e industriali, sommati all’uso dell’Acqua a livello domestico) pari a 6.300 litri giornalieri circa (pari a quasi 700 casse da 6 bottiglie di Acqua da 1 litro e mezzo o di 42 vasche da bagno). Un’impronta idrica piu’ bassa del 6% rispetto alla Spagna e di ben il 20% rispetto agli Stati Uniti. Il 90% dei nostri 6.300 litri sono riconducibili al cibo che consumiamo.

L’ultimo censimento Istat, pero’, in termini di produzione del cibo mostra un dato positivo, visto che circa il 30% della superficie agricola in Italia adotta le tecniche di irrigazione a goccia, caratterizzate da maggiori efficienze rispetto ad altre soluzioni e che consentono di ridurre il consumo di Acqua tra il 15% e l’80%. In questo quadro, pero’, colpisce che oltre 6.000 Metri cubi di Acqua vengano “importati” ogni anno attraverso prodotti agricoli e alimentari. Una cifra minore solo rispetto a quanto fatto da Regno Unito e Germania in Europa. Sempre guardando alla situazione italiana, il 2018 e stato l’anno piu’ caldo dal 1800, con un totale di 148 eventi estremi e seri impatti per l’agricoltura. La produzione di olio di oliva ad esempio vede il peggior calo registrato negli ultimi anni, superiore al 55%.

Diversi sono gli aspetti su cui l’Italia puo’ migliorare. Primo tra tutti, lo stato delle reti idriche, visto che il 40% dell’Acqua messa in rete non raggiunge l’utenza. Altro aspetto su cui lavorare e’ lo stato delle riserve ittiche. Il FSI 2018 ha messo in evidenza come oltre il 75% dello stock ittico italiano sia sovra sfruttato. Un dato che rappresenta la peggiore performance all’interno del gruppo UE-28 e, insieme alla Turchia (79,7%), il caso peggiore nell’area del Mediterraneo. Buone notizie arrivano, invece, dall’agricoltura: in Italia, le attivita’ agricole impattano solo per il 6,74% sulle risorse idriche rinnovabili. Un buon risultato all’interno dell’area mediterranea, soprattutto se confrontato con altri Paesi come la Grecia (11,58%), la Spagna (22,84%) e Israele (57,08%).

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