Cambiare alimentazione per combattere i cambiamenti climatici: la scelta di Greta Thunberg che tutti dovremmo seguire

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Milioni di giovani in tutto il mondo stanno seguendo l’esempio di Greta Thunberg, la ragazza svedese di 16 anni che protesta per un’azione rapida, decisa e globale da parti dei leader mondiali contro i cambiamenti climatici. Dal canto suo, Greta, che ha iniziato ad interessarsi ai cambiamenti climatici quando aveva 9 anni, ha apportato delle modifiche al suo stile di vita per non contribuire personalmente ad uno dei più grandi problemi dell’umanità. Greta non viaggia in aereo, va in bicicletta, nonostante la sua famiglia abbia un’auto elettrica utilizzata solo in caso di necessità, non acquista cose che non sono indispensabili e ha smesso di mangiare carne.

Potreste essere già al corrente del fatto che una dieta vegetariana può apportare benefici per la salute, riducendo il rischio di obesità, malattie cardiache e diabete di tipo 2. Ma una ricerca dimostra che c’è un’altra buona ragione per consumare regolarmente pasti senza carne. Riempendo il piatto di verdure, infatti, si contribuisce a salvare il pianeta, proprio come sta facendo Greta.

Uno studio, pubblicato di recente sulla rivista Nature, ha svelato che in conseguenza della crescita della popolazione e del continuo consumo di diete occidentali, ricche di carne rossa e cibi processati, la pressione sull’ambiente esercitata dal sistema alimentare potrebbe aumentare fino al 90% entro il 2050, “superando i confini planetari chiave che definiscono uno spazio di manovra sicuro per l’umanità oltre il quale gli ecosistemi vitali della Terra potrebbero diventare instabili. Potrebbe portare a livelli pericolosi dei cambiamenti climatici con i più alti episodi di eventi meteo estremi, influenzare la funzione regolatrice degli ecosistemi delle foreste e della biodiversità e inquinare i corpi idrici in modo da portare a più zone morte prive di ossigeno negli oceani”, secondo Marco Springmann (Università di Oxford), autore dello studio.

Se l’intero mondo, che continua a crescere, mangia più come noi, gli impatti sono sconvolgenti e il pianeta semplicemente non può sopportarlo”, ha dichiarato Sharon Palmer, dietologa nutrizionista ed esperta della sostenibilità, non coinvolta nella ricerca. Sostenere un pianeta più sano richiederà il dimezzamento della quantità di sprechi alimentari e il miglioramento delle pratiche e tecnologie agricole. Ma richiederà anche un cambiamento verso diete più vegetariane, secondo Springmann. Come ha fatto notare Palmer, “la ricerca dimostra in maniera consistente che ridurre drasticamente il consumo di cibo di origine animale e mangiare prevalentemente cibi di origine vegetale è una delle cose più potenti che possiamo fare per ridurre il nostro impatto sul pianeta nel corso della nostra vita, in termini di energia richiesta, terra utilizzata, emissioni di gas serra, acqua utilizzata e agenti inquinanti prodotti”.

Come una dieta a base di carne influenza l’ambiente

Lo studio di Springmann dimostra che la produzione di prodotti di origine animale genera la maggior parte delle emissioni di gas serra legate al cibo: fino al 78% delle emissioni agricole totali. Questo è dovuto alle emissioni legate ai concimi, alle “basse efficienze di conversione del cibo” (che significa che mucche e altri animali non sono efficienti nel convertire quello che mangiano in peso corporeo) e alla fermentazione enterica nei ruminanti, un processo che avviene nello stomaco di una mucca quando digerisce il cibo, che porta ad emissioni di metano. Gli effetti dei prodotti animali contribuiscono anche all’utilizzo di acqua dolce e alla pressione sulle terre coltivate, così come all’applicazione di azoto e fosforo, che nel corso del tempo potrebbero portare a zone morte negli oceani, ossia aree a basso contenuto di ossigeno in cui possono sopravvivere pochi organismi, ha spiegato Springmann.

Per fornire un esempio di come il cibo animale si rapporti a quello di origine vegetale in termini di effetti ambientali, considerate che “il manzo è oltre 100 volte più intensivo dei legumi in termini di emissioni”, ha aggiunto Springmann. “Questo perché una mucca ha bisogno, in media, di 10kg di foraggio, spesso cereali, per aumentare di 1kg di peso e quel foraggio richiederà acqua, terra e fertilizzanti per crescere”, ha precisato. Inoltre, le mucche emettono metano, potente gas serra, durante la digestione, il che fa produrre alle mucche e ad altri ruminanti, come le pecore, grandi emissioni.

Altri cibi di origine animale hanno impatti minori perché non producono metano nel loro stomaco e richiedono meno foraggio delle mucche, ha spiegato Springmann. Per esempio, le mucche emettono gas serra circa 10 volte in più per chilogrammo di carne rispetto a suini o pollame, che emettono circa 10 volte in più rispetto ai legumi. Come gli animali, anche le piante richiedono input dall’ambiente per crescere, ma la loro portata è notevolmente inferiore. “Nel sistema agricolo di oggi, coltiviamo le piante per nutrire gli animali, che richiede tutti questi input e risorse: terra, acqua, combustibili fossili, pesticidi, erbicidi e fertilizzanti per la crescita. E poi nutriamo gli animali con le piante e ci prendiamo cura di loro nel corso della loro vita, mentre producono metano e letame”, ha spiegato Palmer.

Adottare diete di origine vegetale potrebbe ridurre le emissioni di gas serra del sistema alimentare di oltre la metà, secondo lo studio. Una dieta prevalentemente vegetariana potrebbe anche ridurre anche altri effetti ambientali, come quelli dei fertilizzanti, e risparmiare fino ad ¼ di acqua dolce e terra coltivabile, secondo Springmann. Palmer ha spiegato che “i legumi, come fagioli, lenticchie e piselli, sono le fonti di proteine più sostenibili sul pianeta. Richiedono quantità molto piccole di acqua per crescere, possono crescere in climi secchi e rigidi, crescono nelle nazioni povere, forniscono sicurezza alimentare e agiscono come un fertilizzante naturale, catturando l’azoto dall’aria e fissandolo nel suolo. Quindi, c’è meno bisogno di fertilizzanti sintetici. Questi sono i tipi di fonti proteiche su cui dobbiamo fare affidamento più spesso”.

Dieta flexitarian: il compromesso salutare per l’uomo e il pianeta

Gli esperti concordano sul fatto che se non si è pronti a rinunciare totalmente alla carne, una dieta flexitarian (o flexitariana, dall’unione di “flexible” e “vegetarian”), prevalentemente di origine vegetale, può aiutare. Questa dieta include molta frutta, verdure e fonti proteiche di origine vegetale, come legumi, semi di soia e noci, insieme a modeste quantità di pollame, pesce, latte e uova e piccole quantità di carne rossa. Le diete vegane o vegetariane produrrebbero emissioni di gas serra ancora minori, ma una dieta flexitariana “è la meno rigida perché è salutare e ridurrebbe le emissioni di gas serra a sufficienza per rimanere entro i limiti ambientali”, secondo Springmann.

Palmer ha spiegato che “sebbene le diete vegane, seguite dalle diete vegetariane, siano collegate ai minori effetti ambientali, non tutti sono interessati ad adottare questi stili di vita. Ma tutti possono mangiare di più con una dieta flexitariana. Non significa dover rinunciare completamente alla carne, ma ridurre notevolmente il suo consumo”.

Diventare flexitariani

Anche il vostro grado di “flexitariani” è flessibile. Per esempio, la dietologa nutrizionista Dawn Jackson Blatner, non coinvolta nello studio, offre 3 livelli della dieta nel suo libro “The Flexitarian Diet”: “principiante” (consuma 6-8 pasti senza carne a settimana o si limita a 740g circa di proteine animali), “avanzato” (9-14 pasti senza carne a settimana o 510g di proteine animali) ed “esperto” (almeno 15 pasti senza carne a settimana o 250g di proteine animali). La chiave non è solo eliminare la carne ma passare alle proteine di origine vegetale, come fagioli e lenticchie. Un pasto mediterraneo potrebbe includere ceci, un pasto italiano fagioli bianchi o lenticchie, uno messicano fagioli neri, uno asiatico fagioli di soia, ha spiegato Blatner.

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