La capsula Crew Dragon SpaceX, costruita per la NASA, è rientrata con ammaraggio al largo della Florida, dopo essere stata attraccata alla Stazione Spaziale Internazionale per 5 giorni. Successo dunque anche per la fase finale, la più pericolosa, di questa missione di test. SpaceX è riuscita a dimostrare che il primo veicolo spaziale statunitense dopo lo Shuttle (in servizio dal 1981 al 2011 ma con due gravi incidenti costati la vita a 14 astronauti) è affidabile e sicuro per gli astronauti. Alle 13:53 ora italiana, Crew Dragon ha attivato i suoi propulsori per un quarto d’ora, per frenare la caduta, e iniziare il rientro atmosferico, che ha consentito di testare per la prima volta in condizioni reali il suo scudo termico.
A bordo della Crew Dragon c’era solo il manichino Ripley, dotato di sensori per misurare le sollecitazioni a cui saranno sottoposti gli astronauti in carne e ossa che verranno lanciati a luglio.
Domenica 3 marzo la capsula ha anche eseguito correttamente l’attracco al modulo Harmony della Iss in modo del tutto automatico, senza l’intervento del braccio robotico.
Questa mattina la capsula ha chiuso il portello e alle 08:32 ora italiana si è sganciata autonomamente iniziando il viaggio di rientro. Intorno alle 13:50 si è separata dal compartimento non pressurizzato contenente il pannello solare e il radiatore, e subito dopo ha acceso i propulsori per abbandonare l’orbita: l’operazione ha richiesto 15 minuti circa e ha consentito a Crew Dragon di mettersi in rotta verso l’atmosfera terrestre. Al largo della Florida era già in posizione la nave “Go Searcher” per il recupero in mare. La discesa della capsula è durata mezz’ora e si è conclusa con un tuffo nell’Atlantico tra gli applausi dei tecnici NASA nella sala di controllo.
Entusiasta per il successo della missione l’amministratore capo della Nasa, Jim Bridenstine, che su Twitter ricorda come il risultato odierno rappresenti “un’altra pietra miliare in una nuova era per il volo umano nello spazio“. Il programma per i voli commerciali della Nasa “fa un ulteriore passo avanti verso il lancio di astronauti americani su razzi americani dal suolo americano“. La stessa agenzia spaziale statunitense ricorda dal suo profilo social una curiosa coincidenza storica: proprio 50 anni fa, il 13 marzo 1969, rientrava a Terra con un tuffo nell’Atlantico un altro veicolo progettato per il trasporto di astronauti, ovvero l’Apollo 9. Si accontenta (per ora) di un manichino la missione Demo-1 di Crew Drago, lanciata da Cape Canaveral lo scorso 2 marzo con il razzo Falcon 9: a bordo oltre 180 chilogrammi di materiali e rifornimenti destinati alla Stazione spaziale e un viaggiatore d’eccezione, il manichino Ripley, dotato di sensori per misurare le sollecitazioni a cui saranno sottoposti gli astronauti in carne e ossa che verranno lanciati in estate.
Domenica 3 marzo il primo vero banco di prova per la capsula, che ha eseguito correttamente l’attracco al modulo Harmony della Iss in modo del tutto automatico, senza l’intervento del braccio robotico. Dopo cinque giorni di ‘parcheggio’, questa mattina la capsula ha chiuso il portello e alle 8:32 (ora italiana) si e’ sganciata in maniera automatica dalla Stazione spaziale, iniziando il viaggio di rientro. Intorno alle 13:50 si e’ separata dal compartimento non pressurizzato contenente il pannello solare e il radiatore, e subito dopo ha acceso i suoi propulsori per abbandonare l’orbita: l’operazione ha richiesto 15 minuti e mezzo e ha permesso a Crew Dragon di mettersi in rotta verso l’atmosfera terrestre, mentre al largo della costa della Florida era gia’ in posizione la nave ‘Go Searcher’ per il recupero in mare. La discesa della capsula e’ durata poco piu’ di mezz’ora: frenata negli ultimi istanti dall’apertura dei paracaduti, si e’ conclusa con un tuffo nell’Atlantico tra gli applausi dei tecnici Nasa nella sala di controllo.